Il livello di sicurezza in molti laboratori che trattano patogeni estremamente pericolosi è ancora basso, al punto da far temere che prima o poi, come risultato di una delle tante fughe di batteri e virus documentate negli ultimi anni, si rischi una nuova pandemia. Questo è il messaggio di un interessante articolo pubblicato dall’opinionista e docente della Columbia University Zeynep Tufecki sul New York Times a metà maggio, che riporta quanto raccontato dall’ex giornalista Alison Young nel suo nuovo libro “Pandora’s Gamble”.
Si narrano numerosi e sorprendenti casi in cui i ricercatori sono stati infettati o comunque esposti a forti rischi a causa di misure di sicurezza negligenti nei laboratori negli Stati Uniti e altrove. Gli esempi sono molteplici, dalla infezione di alcune scimmie con il batterio Burkholderia pseudomallei, proveniente da una struttura a poche miglia di distanza, all’esposizione al virus dell’influenza aviaria H5N1. Nella natura, l’H5N1 non si trasmette facilmente tra gli esseri umani – per fortuna, dato che il tasso di mortalità è di circa il 50% – ma nelle ricerche condotte presso l’Università di Wisconsin, il ceppo del virus era stato potenziato attraverso la ricerca “gain of function”, che mira ad aumentarne la trasmissibilità tra i mammiferi per scopi di ricerca. Per fortuna, la ricercatrice esposta all’aria contaminata non si è ammalata, ma il libro sottolinea che l’università non aveva notificato le autorità competenti per quasi due mesi, una tendenza purtroppo comune nel settore.
Si parla di casi di infezione da SARS in Cina, Singapore e Taiwan, così come del lavoro sui coronavirus. L’articolo non prende posizione nel dibattito sulle origini del Covid-19, ma sottolinea che i casi di “spillover”, ossia la possibilità che un virus animale passi agli esseri umani, sono relativamente comuni. Tuttavia, tali casi si diffondono poco, spesso perché si verificano in zone rurali che non presentano la stessa densità demografica delle città. Il problema è che il 75% dei laboratori che trattano i patogeni più pericolosi si trova in aree con più di 50.000 abitanti entro un raggio di appena 4 chilometri. Oltre alla necessità di rivalutare la posizione dei laboratori, l’articolo sottolinea l’importanza della cooperazione internazionale, conducendo indagini trasparenti con l’unico scopo di prevenire futuri casi a rischio, evitando un atteggiamento difensivo o opaco da parte delle istituzioni coinvolte. Un buon modello, si afferma, è quello delle indagini nel settore del trasporto aereo, dove si comprende che l’obiettivo primario e urgente è sempre quello di eliminare ogni possibilità di ripetizione degli incidenti.
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June 5, 2023
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