All’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, nonostante le previsioni dell’intelligence e la preparazione militare degli anni precedenti, a Washington, come nelle altre capitali occidentali, non si pensava che gli ucraini potessero fermare l’avanzata russa. L’approccio era di prepararsi ad alimentare e rifornire la resistenza per contrastare l’inevitabile occupazione. La prospettiva è cambiata dopo poche settimane, però, a causa delle valutazioni errate dei russi e della decisa risposta degli ucraini: i russi si sono ritirati da Kiev e da altre zone più interne del paese, per concentrarsi sull’avanzata nel Donbas.
Questo cambiamento aveva dato vita a grandi speranze nell’Occidente e tra gli ucraini stessi, facendo pensare che i russi stessero perdendo la guerra, e che con il rapido arrivo di armi dai paesi Nato l’Ucraina avrebbe potuto respingere l’invasione del tutto. In questa seconda fase si sono create delle aspettative molto ottimistiche: come dichiarato da vari funzionari governativi ucraini, l’obiettivo non era più solo di ripristinare la situazione pre-febbraio 2022, ma addirittura di riprendere la Crimea e gli altri territori sotto il controllo russo dal 2014.
Questo periodo di grande ottimismo è stato senz’altro influenzato da una sorta di contro-propaganda che ha voluto non solo dipingere un quadro di buoni e cattivi assoluti tra ucraini e russi per quanto riguarda i metodi di conduzione della guerra, ma anche di dare molta enfasi ai successi degli ucraini e minimizzare quelli dei russi. I media occidentali prendevano per buono – e molti lo fanno ancora – tutti i pronunciamenti dei rappresentanti ucraini, anche senza poterli verificare. E anche le fonti che si presentavano come indipendenti e quindi affidabili dal punto di vista tecnico, hanno contribuito non poco a questa dinamica (si veda l’esempio dell’Institute for the Study of War citato in questo numero di Transatlantico.info).
E’ comprensibile che la volontà di aiutare l’Ucraina possa influenzare le analisi e le dichiarazioni pubbliche, ma con questa modalità si è creata un’impressione che non rispecchiava la realtà effettiva, e che ora ha dovuto cedere ad un maggior pessimismo di fronte all’evidente avanzata e superiorità russa nella zona del Donbas. Infatti nelle ultime settimane qualcosa è cominciato a cambiare, a livello mediatico e anche governativo.
E’ iniziato a metà maggio, quando sui grandi giornali americani sono apparsi vari commenti sul pericolo di provocare una guerra più ampia contro la Russia. Dopo l’invocazione del Washington Post a non contemplare i negoziati di cui abbiamo scritto lo scorso 21 maggio, il New York Times ha preso un’altra linea, e si sono moltiplicate le dichiarazioni pubbliche che mettono in dubbio l’opportunità di alimentare la speranza di una vittoria totale da parte dell’Ucraina. Si sta consolidando una visione più realistica, che vede il ripristino della situazione pre-febbraio 2022 come un obiettivo ragionevole. In verità anche questa prospettiva è forse superata dai fatti ormai, ma comunque indica la disponibilità a fermare il conflitto ad un certo punto e poi trattare successivamente sulle questioni territoriali.
Anche dall’amministrazione Biden la retorica sta cambiando: si è saputo che il presidente era poco contento delle affermazioni fatte dal segretario di Stato Blinken e dal segretario alla Difesa Austin durante il loro viaggio in Europa a maggio, quando hanno parlato di vittoria totale contro la Russia; Biden avrebbe chiesto a loro di ammorbidire i toni, come ha fatto lui stesso dopo le proprie uscite in Polonia.
Poi il 10 giugno il presidente ha detto ad un gruppo di sostenitori che “Zelensky non lo voleva sentire” quando gli Usa insistevano sulla probabilità di un’invasione russa prima del 24 febbraio. Negli stessi giorni sulla stampa americana sono apparsi articoli su come alcuni “funzionari di intelligence” affermano che gli ucraini diano poche informazioni agli Usa sulla situazione operativa nel conflitto; spesso – hanno affermato queste fonti – le agenzie americane hanno un quadro migliore di quello che fanno i russi che non i nostri alleati di Kiev.
Quello che emerge è un tentativo del governo americano di distanziarsi leggermente da quello ucraino, o perlomeno di discolparsi in qualche modo visto che ora sul terreno la situazione non sta andando come si sperava. La risposta ucraina è di insistere sull’invio massiccio di armi in tempi più rapidi, vista la vasta superiorità dei russi nella guerra di artiglieria. Su questo punto gli Usa stanno effettivamente mandando nuovi sistemi, ma con condizioni precise: non si attacca il territorio russo, per evitare di dare ai russi la scusa per allargare il conflitto. Insomma, c’è un evidente divario tra gli obiettivi di Kiev e quelli considerati accettabili a Washington, che è diventato più evidente in queste settimana a causa dello sgonfiamento della bolla di ottimismo della seconda fase della guerra. Formalmente a Washington ci si prepara per un conflitto lungo e non si vuole dare l’impressione di arretrare, come anche in Europa gli stessi governi che hanno chiesto i negoziati poco tempo fa – Francia e Italia – ora fanno dichiarazioni nette di sostegno per l’Ucraina. Ma intanto la speranza di vittoria per Kiev si sta scontrando con una realtà più difficile sul terreno, che farà aumentare ancora di più le discussioni sulla via d’uscita dal conflitto nel prossimo periodo.
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June 30, 2022
Notizie, Strategia