– di Paolo Balmas –
La sigla dell’accordo fra il governo italiano e la Cina ha destato sospetti e malumori. In effetti, esistono rischi concreti di varia natura, dal debito alla sicurezza relativa alle infrastrutture critiche. Tuttavia, quando analisti d’oltreoceano associano l’Italia a paesi asiatici che partecipano alla Belt and Road Initiative (BRI), come il Pakistan, evidentemente non hanno ben chiaro in mente dove sia e cosa sia l’Italia. Il piano di sviluppo infrastrutturale relativo alla BRI nella Penisola è stato stimato intorno ai 2,8 miliardi di dollari. Possono sembrare una somma grande, ma rientrano nella normalità quando si tratta di ampliare porti e costruire ferrovie per l’alta velocità. Sono una cifra irrisoria, invece, se paragonati alle cifre che riguardano il Corridoio economico sino-pakistano finanziato da Pechino sotto l’insegna della stessa BRI. Dopo i primi anni di lavori, infatti, si stima un costo totale fra i 55 e i 62 miliardi di dollari. È vero che l’Italia sia appesantita da un debito di oltre il 130%, uno dei più alti al mondo, ma il Pakistan ha già ricevuto una serie di pacchetti di salvataggio dal Fondo monetario internazionale. Inoltre, il Pakistan ha destato preoccupazione a Washington da quando ha proposto di utilizzare il renminbi al posto del dollaro per i pagamenti sulle infrastrutture. Infine, il Corridoio economico in Pakistan si inserisce in un territorio altamente a rischio a causa delle attività terroristiche da un lato e potenzialmente insurrezionali dall’altro.
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April 9, 2019
Economia