(free) – di Paolo Balmas –
L’amministrazione Trump ha dato il via libera all’imposizione di nuovi dazi per regolare le importazioni di acciaio e alluminio. Sebbene il dito sia puntato sempre contro la Cina, accusata di mettere sul mercato internazionale prodotti a prezzi più bassi rispetto a quelli regolati dal mercato stesso, i provvedimenti di Trump riguarderanno molti paesi. In fondo, il Presidente lo aveva già detto mesi fa, durante il viaggio di rientro dalla Germania, dopo l’incontro del G20. Sull’Air Force One, Trump aveva detto di fronte ai giornalisti che “l’acciaio è un grande problema”. Inoltre, aveva aggiunto, la pratica del dumping su acciaio e alluminio è la causa della distruzione dell’industria degli Stati Uniti. L’accusa non è leggera e l’attenzione si rivolge prima di tutto alla Cina per due motivi: il primo riguarda la campagna mediatica che sta accompagnando la condizione crescente e permanente di contrasto fra le due potenze; la seconda, invece, riguarda l’organizzazione politico-economica della Cina. I grandi produttori d’acciaio e alluminio sono imprese di Stato, facilmente accusabili di concorrenza sleale in quanto sono direttamente sostenute dal governo a Pechino.
Tuttavia, basta guardare ai consumi e alle importazioni statunitensi per comprendere che la Cina, almeno fino a ora, non può essere stata una minaccia sul fronte dell’acciaio. Infatti, il 78% dell’acciaio importato negli Usa proviene da dieci paesi e fra questi non compare la Cina. Questi sono: Canada (16%), Brasile (13%), Corea del Sud (10%), Messico (9%), Russia (9%), Turchia (7%), Giappone (5%), Taiwan (4%), Germania (3%), India (2%). Ciò vuol dire che la Cina esporta acciaio negli Usa per meno del 2% del totale. Invece, il 25% proviene da Canada e Messico, i partner del Nafta tanto criticato da Trump. Un altro 24% proviene dagli alleati della Cina fra i Brics (Brasile, Russia e India). Ognuno di questi paesi è il principale fornitore di una categoria specifica di prodotti d’acciaio. I dati sono relativi al 2017, quando sono stati importati 26,9 milioni di tonnellate di acciaio, per un valore di 21,9 miliardi di dollari. Dopo il calo delle importazioni cha ha caratterizzato gli ultimi anni, nel 2017 si è assistito a un aumento del 20%, mentre la spesa relativa è aumentata del 34%. Non è secondario notare che il secondo maggior produttore interno agli Stati Uniti è l’Arcelor Mittal Usa, la sezione americana del gigante europeo dell’acciaio, di base in Lussemburgo.
La Cina ha esportato circa 58 milioni di tonnellate di acciaio nel 2017. Attualmente, i principali mercati per l’acciaio cinese sono l’asiatico e il mediorientale. I maggiori importatori sono la Corea del Sud, il Vietnam e le Filippine. Gli Stati Uniti non compaiono nelle prime dieci destinazioni, che costituiscono il 53% delle esportazioni cinesi di acciaio. Un discorso tutto diverso riguarda l’alluminio. Gli Stati Uniti effettivamente dipendono dalla produzione in Cina, che soddisfa buona parte della domanda americana, almeno per quanto riguarda alcuni prodotti specifici. Ad esempio, gli Usa acquistano dalla Cina il 52% del proprio fabbisogno di fogli di alluminio. In qualsiasi caso, non è detto che la manovra dei dazi prevenga la crescita delle importazioni dalla Cina, che è il paese che subisce il maggior numero delle 149 sanzioni già in forza su prodotti specifici in acciaio. Fino a oggi i prodotti cinesi sono stati tenuti a distanza, ma proprio il fatto di trattare con imprese di Stato potrebbe non sortire gli effetti voluti dall’amministrazione Trump. In altre parole, proprio la Cina, a differenza di altri paesi, potrebbe permettersi di affrontare un mercato con margini minori di guadagno, in un momento in cui la domanda e i prezzi sono in salita.
– Newsletter Transatlantico N. -2018
February 22, 2018
Economia