(free) – di Paolo Balmas –
Le elezioni dello scorso fine settimana per la Camera dei Rappresentanti del Giappone si sono concluse con un’altra vittoria del premier Shinzo Abe. La sfida lanciata dal nuovo partito guidato dalla governatrice di Tokyo, Yuriko Koike, non ha ottenuto grandi risultati. Il Partito liberal democratico di Abe, invece, ha conquistato 284 seggi su 465 che, insieme agli alleati del partito Komei, sono diventati 313. La coalizione di Abe ha comunque perso 11 seggi, ma ha dimostrato, dopo la dissoluzione del Partito democratico, di non avere ancora rivali. Il risultato ha sfatato il mito delle elezioni del governatorato di Tokyo considerate il riflesso e l’anticipazione di quelle nazionali. A Tokyo, il partito della Koike aveva vinto e aveva conquistato il sostegno del Komei. A livello nazionale è stato tutto diverso. Il programma populista della Koike, sotto certi versi estremo, non è stato accolto. Gli attacchi all’Abenomics, evidentemente, non sono stati sferrati al momento giusto. Le critiche rivolte alla politica monetaria della Banca del Giappone, guidata dal governatore Kuroda, non hanno avuto l’attesa risonanza. Tanto meno l’attacco allo stimolo fiscale fissato per inizio 2019. È chiaro che i giapponesi, almeno per il momento, non temono l’aumento del 2% delle tasse sul consumo (dall’8 al 10%) e sono maggiormente preoccupati di questioni più immediate. Prima fra tutte la crisi sulla penisola coreana.
Lo spettro di un conflitto a poche miglia dalla propria costa rappresenta un timore concreto, che è stato amplificato dalla campagna politica portata avanti negli ultimi anni da Abe per riformare le forze armate, i servizi di intelligence e preparare il Giappone a una modifica costituzionale, proprio sull’articolo in cui è esplicita la natura pacifista dello Stato. Ad aumentare l’attenzione hanno contribuito i mass-media e le sirene antiaeree che hanno suonato ogni volta che i missili sperimentali nordcoreani sorvolavano l’arcipelago prima di inabissarsi nell’Oceano Pacifico. Così, anche se le riforme strutturali promesse da Abe non sono state operate e il QE di Kuroda non ha portato ai risultati sperati (lo stesso Kuroda dopo anni di QE aveva avvertito che lo stimolo monetario è inutile se non è sostenuto dalle riforme e da una politica adeguata), la ristrutturazione dell’assetto di sicurezza e difensivo del Giappone ha avuto i suoi effetti sull’elettorato. La vittoria, per di più, permetterà al governo di continuare il proprio percorso in politica estera.
Il cambiamento della struttura di sicurezza e la creazione di un nuovo servizio di intelligence hanno sancito l’inizio di una nuova era delle relazioni internazionali del Giappone. Infatti, coincidono con l’emancipazione dall’ingerenza degli Stati Uniti, voluta anche dall’amministrazione Obama, negli affari internazionali di Tokyo. Il Giappone, in altre parole, è ritornato sulla scena mondiale, attraverso varie politiche di apertura. Si pensi alla cooperazione con la Federazione russa per risolvere la questione del trattato di pace, mai firmato dal 1945, e della disputa territoriale nei territori del nord. Inoltre, il Giappone ha dato il via a una nuova fase dei rapporti economici con la Cina; punta all’internazionalizzazione delle proprie imprese; ha intensificato gli investimenti diretti all’estero, soprattutto in Europa e in Asia centrale. In generale, un Giappone così attivo non è gradito alle due coree. L’amministrazione Obama si era sforzata di creare un legame fra Tokyo e Seoul, proprio attraverso la cooperazione in ambito difensivo, cosa inaccettabile per Pyongyang.
Malgrado le forti critiche rivolte alla famiglia Abe a causa dei recenti scandali, gli elettori giapponesi hanno preferito sostenere il governo, probabilmente coscienti della delicatezza del momento, e non troppo fiduciosi nelle novità che si sono affacciate sul panorama politico interno. Il prossimo appuntamento politico per Abe è fissato nell’autunno del 2018, per l’elezione alla presidenza del partito. Se riuscirà a mantenere la carica, gli sarà possibile continuare a governare per questi prossimi quattro anni e passerà alla storia come il capo del governo più longevo del Giappone contemporaneo.
– Newsletter Transatlantico N. 45-2017
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October 28, 2017
Notizie, Politica