– di Paolo Balmas –
Un’autobomba è esplosa ad Ankara il 17 febbraio 2016. L’esplosione ha provocato 28 morti e 61 feriti. Il governo turco ha accusato le Unità di protezione popolare (Ypg), ovvero il braccio armato dell’Unione democratica, il partito curdo della Siria (Pyd), di aver organizzato l’attentato grazie anche all’aiuto del Pkk, il partito curdo in Turchia. Inoltre, i rappresentanti di Ankara hanno esteso le accuse al governo siriano e hanno definito le Ypg uno strumento nelle mani di Damasco. Infine, l’ira turca si è riversata su Mosca. Infatti, è stato affermato che da ora in poi la responsabilità degli attacchi su territorio turco ricadrà sul governo russo.
Il Pyd ha disconosciuto l’attentato e anche il Pkk ha dichiarato di essere estraneo ai fatti.
La reazione delle forze armate turche c’è stata poche ore dopo. I bombardamenti dell’artiglieria dislocata sul confine sono ripartiti. Il presidente Erdogan ha confermato che non intende fermare gli attacchi sulle posizioni curde in Siria. Il principale effetto politico e strategico dell’attentato, quindi, sembra essere stato di minare il possibile inizio di un cessate il fuoco, come proposto durante la Munich Security Conference nei giorni passati; di conseguenza, anche di mantenere viva la possibilità di un attacco di terra da parte di Turchia e Arabia Saudita.
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February 19, 2016
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