Come interpretare la “Dottrina Obama” in politica estera
– analisi di Andrew Spannaus –
La recente intervista concessa dal Presidente americano Barack Obama a Jeffrey Goldberg di The Atlantic è stata ampiamente letta e commentata sia negli Stati Uniti sia all’estero. Approfittando della disponibilità di un giornalista che conosce bene, Obama ha tentato di esprimere una visione più organica della propria visione del ruolo americano nel mondo, facendo alcune dichiarazioni sorprendenti, che hanno rappresentato una rottura con il suo approccio fino a questo momento.
Tra le numerose rivelazioni e ricostruzioni presentate da Goldberg, spicca il passaggio sulla decisione di Obama di non bombardare la Siria nel settembre 2013, quando dopo l’attacco con le armi chimiche a Ghouta la pressione per passare ad un intervento militare diretto era enorme. Alla fine l’attacco fu evitato, segnando uno spartiacque nella politica estera degli Stati Uniti, come ho sottolineato più volte nei discorsi pubblici e negli articoli su Transatlantico.info.
I commenti di Obama in merito sono notevoli, perché rappresentano la prima volta che ha rivendicato apertamente la bontà di quella decisione, invece di cercare di placare i suoi critici con dichiarazioni allo stesso tempo aggressive (in termini diplomatici) e difensive (in termini politici).
“Sono molto orgoglioso di quel momento. Il peso schiacciante del senso comune e della macchina del nostro apparato di sicurezza nazionale era già andato abbastanza in là. La percezione era che la mia credibilità era in gioco, che la credibilità dell’America era in gioco. E quindi in quel momento sapevo che premere ‘pausa’ mi avrebbe costato politicamente. E il fatto di essere stato in grado di arretrare dalle pressioni immediate e di ragionare nella mia testa sul vero interesse americano, non solo in merito alla Siria ma anche rispetto alla nostra democrazia, è stata tra le decisioni più difficili che io abbia preso – e in definitiva penso sia stata la decisione giusta”.
Questo è stato il momento – aggiunge il giornalista – in cui Obama ha finalmente rotto con quello che definisce con derisione il copione di Washington, cioè quel meccanismo che spinge i politici a prendere le decisioni sulla base di pressioni istituzionali e mediatiche, piuttosto che sui meriti della situazione reale.
La versione presentata dal presidente è ovviamente parziale; sarebbe facile pignoleggiare sul perché ha fatto dietrofront in quel momento. E l’effettivo cambiamento può essere criticato su più fronti, dall’utilizzo dei droni e della sorveglianza, agli errori in Libia, quest’ultimi ammessi solo in parte nell’intervista, ma ancora senza un resoconto completo degli interessi in gioco.
Rimane però il fatto che oggi, dopo aver abbandonato la politica di cambiamento di regime in Siria, e aver cominciato una collaborazione prima dietro le quinte e poi più aperta con i russi, Obama rivendica la svolta, piuttosto che giocare in difesa contro le critiche dei falchi che vedono nell’intervento militare l’unica soluzione ai problemi del Medio Oriente o anche in altre aree del mondo.
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April 10, 2016
Politica, Strategia