(free) – analisi di Paolo Balmas –
La presidente del Brasile, Dilma Rousseff, è stata giudicata dal senato brasiliano e sospesa dalla carica per sei mesi, durante i quali dovrà affrontare un processo con l’accusa di aver manomesso i conti pubblici al fine di favorire la propria elezione al secondo mandato. Così ha vinto il fronte dell’impeachment, ma per Rousseff e alcuni osservatori si tratta di un golpe(1).
Andrà al potere il vicepresidente Michel Temer, rappresentante del Partito del Movimento democratico (parte della coalizione di governo), del cui passato raramente i media hanno parlato in queste ore. La contraddizione, come ricorda Glenn Greenwald su The Intercept, sta nel fatto che Temer è stato già accusato recentemente da un tribunale brasiliano per aver violato le leggi sul finanziamento delle campagne elettorali nel 2014. Deve infatti pagare una multa di ottantamila real (circa ventimila euro). Chi è incriminato per questo tipo di reato dovrebbe essere interdetto dal pubblico ufficio per almeno otto anni. Temer, invece, è appena diventato presidente.
Tuttavia, anche nel caso eccezionale che avrebbe visto la Rousseff rimanere al suo posto, con un voto contrario al processo parlamentare, gli effetti della guerra interna brasiliana sarebbero stati più che evidenti: avrebbe vinto innanzitutto la sfiducia del popolo di fronte a una classe politica corrotta, pronta a tutto e al contrario di tutto per mantenere la propria posizione di potere. Dopo anni di entusiasmi e di crescita rimarrà a lungo la delusione. Le statistiche sui consensi lo dimostrano chiaramente.
Sullo sfondo, ma non secondaria, si è svolta e si svolge un’altra guerra. Le schiere interne intrecciano i propri interessi a quelli di vari attori internazionali che non hanno mai dato tregua al Brasile. Gli obiettivi sono molteplici.
Prima di tutto, l’apertura del mercato degli idrocarburi. I governi Lula e Rousseff, infatti, avevano assunto posizioni protezioniste inviso alle multinazionali del settore.
Secondo, la crescita brasiliana aveva corso sui binari di riforme di stampo socialista in netta contraddizione con l’austerità dei paesi che guidano l’economia mondiale. Non è accettabile assistere al successo di governi che mettono in pratica una maggiore (seppur sempre limitata) spartizione delle ricchezze.
Terzo, il Brasile si era improvvisamente ritrovato ad assumere un ruolo di primo piano nella rivoluzione energetica a cui si sta preparando il pianeta. E ciò, per alcuni, non è accettabile. Si deve dimostrare che la via brasiliana non costituisce una soluzione possibile a questioni come l’inquinamento o il cambiamento climatico.
Infine l’obiettivo strategico, che consiste nel rallentamento della crescita. Questo è stato ottenuto riportando l’immagine del Brasile a uno stato di inaffidabilità, che ha insinuato il dubbio negli investitori e frenato le compagnie petrolifere dal partecipare ai progetti sugli idrocarburi sub-salt (la grande ricchezza del paese). Le conseguenze ricadono, fatto da non sottovalutare, sugli altri Brics.
Lula e Rousseff sono stati capaci di sfruttare l’onda di entusiasmo della popolazione anche a scopo personale. Hanno vinto quattro elezioni consecutive e hanno governato per quasi quattordici anni. Ma il loro grande successo, almeno a livello internazionale, era stato proprio quello di rilanciare l’immagine del Brasile. In questi anni la percezione occidentale del paese sudamericano è totalmente cambiata. Un grande ruolo lo ha avuto la politica mediatica che ha sfruttato l’industria del cinema nascente. Lungometraggi di successo hanno presentato il lato affascinante della criminalità (che frenava il turismo e gli investimenti) o la decisiva guerra delle autorità contro il crimine organizzato. Esattamente come a Hollywood e come in Europa.
Se l’immagine positiva sarà persistente dall’esterno, non si può dire lo stesso della percezione interna. Dallo scandalo Petrobras all’incriminazione di Lula e all’impeachment della Rousseff, i brasiliani hanno assunto per lunghi mesi i messaggi negativi, sulla classe politica e sull’impianto burocratico nazionale, che viaggiavano sotto ogni forma di comunicazione esistente. Ora si ritrovano al governo un politico incriminato. Non sono da escludere manifestazioni in un clima di tensione a rischio di violenza. L’obiettivo, infatti, è mantenere la situazione sotto controllo fino all’inizio delle vicine Olimpiadi.
In questi giorni, in Brasile si assisterà all’inizio di un nuovo giro di giostra. Sarà possibile aprirsi a politiche più compatibili con le istituzioni economiche finanziarie internazionali. Infatti, si preannuncia l’inserimento di esponenti neoliberali sia nel governo Temer che alla Banca centrale. Si procederà verso un’ulteriore apertura del mercato degli idrocarburi. Gli aiuti alle famiglie più povere, che hanno contraddistinto le politiche sociali degli ultimi anni, invece, saranno messi in dubbio e forse rimossi dall’agenda del governo. Sarà fatto il primo passo verso un’austerità brasiliana. E la colpa sarà del prezzo del petrolio.
1 “Brazil Coup Complete” (Golpe brasiliano compiuto) era il primo titolo della versione americana dell’HuffingtonPost di ieri, testata normalmente non tenera con i politici accusati di corruzione.
– Newsletter Transatlantico N. 34-2016
May 13, 2016
Economia, Politica