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– di Paolo Balmas –
Questa settimana la diplomazia ha lavorato senza sosta. Ieri mattina, giovedì 12 febbraio 2015, il presidente russo Vladimir Putin ha rilasciato una dichiarazione secondo la quale l’incontro di Minsk del giorno precedente si è concluso con l’approvazione di un cessate il fuoco.
In base all’accordo le parti dovranno smettere di spararsi a partire dal 15 febbraio, quindi in pochi giorni dovranno creare i presupposti per trasformare le parole in fatti. Un compito non semplice, visto che nelle ore precedenti le manovre intorno alla città di Debaltseve hanno provocato la morte di 19 soldati ucraini e il ferimento di oltre 70 (fonte delle forze armate di Kiev), mentre su Donetsk cadeva un proiettile di mortaio su una stazione di pullman. Il primo passo lo faranno i capi di Stato Maggiore, Viktor Muzhenko per la Russia e Valery Gerasimov per l’Ucraina, come annunciato poche ore dopo dal presidente Petro Poroshenko.
Tuttavia, sin da lunedì 9 febbraio le attività sono sembrate procedere nel segno dell’apertura al dialogo. Infatti, i ministri europei riuniti a Sofia per il Consiglio Affari Esteri dell’Ue, hanno deciso di rimandare di una settimana, al 16, il dibattito sulle sanzioni economiche alla Federazione Russa.
Il giorno seguente, martedì 10, il cancelliere tedesco Angela Merkel si è recata a Washington per incontrare il presidente Obama e affrontare la questione della crisi ucraina. L’Amministrazione statunitense era ed è ancora intenzionata a riequilibrare in favore del governo di Kiev lo stallo in cui si trova il conflitto civile, fornendo supporto militare letale. Merkel è riuscita a prendere il tempo sufficiente per arrivare a Minsk l’11 febbraio senza l’irrigidimento che sarebbe seguito alla decisione della Casa Bianca.
All’incontro, oltre ad Angela Merkel, erano presenti il collega francese Francois Hollande, il presidente ucraino Petro Poroshenko e Vladimir Putin. L’approccio di questi ultimi due continua a essere inconciliabile e lo è ancor di più quello fra i separatisti e il governo di Kiev. Ma la coscienza del rischio di un inasprimento del conflitto civile e del prolungamento di una situazione che sul continente eurasiatico non è gradita a molti, gli ha permesso di rimettere la fiducia nei leader di Germania e Francia.
Questi hanno una visione della risoluzione certamente differente da quella dei due leader orientali. Sull’indipendenza della regione del Donbas, ad esempio, con ogni probabilità promuovono una visione di autonomia sullo stile di quelle esistenti (e che si andranno costituendo negli anni) in Europa. Una via di mezzo che non sembra convincere Poroshenko, tanto meno Putin. Ma con la quale dovranno cominciare a fare i conti. Inoltre, sull’ingresso dell’Ucraina nella Nato, Berlino e Parigi non possono dirsi contrari, quindi potranno solo limitarsi a rimandare la questione. Un punto su cui Putin ha più volte detto che Mosca non può cedere.
Durante l’incontro, dall’altra parte dell’Atlantico, il presidente Obama orientava l’attenzione sul conflitto siro-iracheno. Infatti, chiedeva al Congresso di dare il via libera alle forze armate di intervenire sul teatro di guerra, cambiando la politica del no-boots-on-the-ground.
In qualsiasi caso, in Ucraina si vivono quattro giorni di attesa. L’incontro dei capi di Stato Maggiore e poi l’inizio del cessate il fuoco del 15 febbraio potranno avere effetti anche sulla decisione del 16 riguardo alle nuove sanzioni a Mosca. Un allentamento della politica delle sanzioni rientra negli obiettivi di Parigi.
Nel frattempo la diplomazia di Mosca non ha perso tempo. Mentre Merkel e Obama si incontravano, Putin stringeva accordi in ambito militare con Cipro e commerciale con Il Cairo. La politica russa di espansione e consolidamento nel Mar Mediterraneo è molto chiara.
Sullo sfondo si individua sempre lo sviluppo dei grandi progetti energetici che stanno determinando la geopolitica dell’intera regione, dal Baltico a Suez.
February 13, 2015
Notizie, Strategia