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La Casa Bianca tra Palestina e Iran

January 20, 2015

Notizie, Strategia

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– di Andrew Spannaus –

Negli ultimi giorni del 2014 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha bocciato una risoluzione stilata dall’Autorità Palestinese e da altri paesi arabi che indicava passi concreti verso un accordo per il riconoscimento di uno stato palestinese indipendente. Il testo della risoluzione respinta il 30 dicembre stabiliva la data del 31 dicembre 2017 per la fine dell’occupazione israeliana e indicava i confini del 1967 come la base per il nuovo stato.

Occorrevano nove voti affermativi tra i quindici componenti del Consiglio di Sicurezza, numero non raggiunto, in quanto oltre ai voti contrari degli Stati Uniti e dell’Australia, cinque paesi si sono astenuti (Regno Unito, Lituania, Nigeria, Corea del Sud e Ruanda). I voti a favore sono stati di Russia, Cina, Francia, Argentina, Ciad, Cile, Giordania e Lussemburgo.

Gli Stati Uniti avevano comunque minacciato di porre il veto se la risoluzione fosse passata, e in ogni caso hanno lavorato per assicurarne il fallimento, mettendo pressioni su paesi come la Nigeria che ha deciso all’ultimo momento di astenersi.

Nell’autunno dell’anno scorso si vociferava che l’Amministrazione Obama stesse considerando la possibilità di permettere il passaggio di una risoluzione critica verso Israele e dunque di aumentare di molto le pressioni sul governo di Benjamin Netanyahu. Si parlava anche della preparazione di un piano di pace americano basato sui confini del 1967. I rapporti tra il premier israeliano e il presidente Usa sono infatti pessimi e alla Casa Bianca non ci si preoccupa di evitare contrasti con Netanyahu.

La tentazione di muoversi apertamente contro le volontà del governo israeliano è stata bloccata da due fattori. Il primo è quello delle elezioni: la recente crisi politica ha aperto la strada alle elezioni anticipate che si terranno il prossimo 17 marzo, e quindi il futuro politico di Netanyahu è in forse. Tuttavia l’attuale premier non è certamente fuori gioco, in quanto sarà necessario un governo di coalizione tra vari partiti.

Il secondo fattore riguarda un ragionamento interno agli Usa. Come spesso succede, Obama cerca di accontentare i suoi critici esprimendo una linea dura anche quando vorrebbe andare in una direzione diversa. In questo caso spera di evitare un nuovo fronte di contrasto con il Congresso mentre continuano i negoziati con l’Iran.

E’ noto che la maggior parte dei deputati e dei senatori tendono a seguire quasi ciecamente le indicazioni dell’associazione AIPAC e del governo israeliano. L’Amministrazione è riuscita ad evitare nuove sanzioni l’anno scorso quando il capo del Senato era ancora un democratico, ma ora la nuova maggioranza repubblicana, insieme a numerosi democratici, sta preparando un’altra proposta per cercare di condizionare i negoziati.

La strategia è stata esplicitata dal Sen. Lindsey Graham del South Carolina. Ha detto che i repubblicani seguiranno ciò che chiede Netanyahu, piuttosto che trattare con la Casa Bianca. Ancora più esplicito è stato il Sen. Tom Cotton dell’Arkansas due giorni fa: “La fine dei negoziati [con l’Iran] non è una conseguenza involontaria dell’azione del Congresso, è la conseguenza che intendiamo provocare”.

L’effetto complessivo di questa situazione è che si è persa l’occasione di cambiare la politica americana sulla questione palestinese, sulla scia anche delle azioni di vari paesi europei a favore del riconoscimento della Palestina l’anno scorso.

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