– di Paolo Balmas –
Il quarto incontro della Conference on Interaction and Confidence Building Measures in Asia (Cica), tenutosi a Shanghai il 21 maggio 2014, è stato lo sfondo perfetto che i presidenti della Federazione russa e della Cina, Vladimir Putin e Xi Jinping, hanno scelto per siglare più di quaranta contratti commerciali. I media si sono giustamente concentrati sulla più importante di queste intese, stipulata da Gazprom e da China National Petroleum Corporation (Cnpc). Tuttavia, portare il gas siberiano oltre la Grande Muraglia non è altro che uno degli innumerevoli obiettivi che coinvolgono settori diversi, dall’energia alle infrastrutture. Per quanto tale avvicinamento sia stato dipinto come una diretta conseguenza della crisi ucraina, la realtà è che siamo di fronte, da un lato, al naturale sviluppo della strategia della Cina che, si ricorda, è una potenza sia marittima che continentale e sebbene i suoi leader negli ultimi anni si stiano sforzando soprattutto di espandere il potere sui mari, non possono di certo dimenticarsi della terra ferma e dei rapporti con i vicini più funzionali e più interessati a una maggiore cooperazione. Nello specifico, inoltre, Pechino punta alla riduzione della dipendenza dal carbone di cui è affetta l’economia nazionale.
Dall’altro lato, la Federazione russa compie un passo che allo stesso tempo si dirige in più direzioni: apertura di un nuovo fiorente e promettente mercato a Est; sviluppo della regione estremo orientale; maggiore presenza nel Pacifico; dimostrazione, in particolare rivolta all’Unione europea, che Mosca è la protagonista dell’intero continente euroasiatico e non si lascia intimidire dalle sanzioni imposte dall’Occidente. In fondo, le trattative andavano avanti da circa dieci anni. Inoltre, non è la prima volta che la Cnpc chiude un accordo con la vicina Federazione. Già dal 2003 opera in territorio russo e da allora ha stipulato contratti con i più grandi dell’energia di Mosca, tra cui Rosneft, Lukoil e Sakhalin Energy.
La tensione, arrivata al massimo livello con la crisi ucraina a Ovest e, più o meno contemporaneamente, con i fatti intercorsi fra Cina e Vietnam nelle isole Paracelso a Est, ha di certo contribuito a far percepire l’intesa russo-cinese come la costituzione di un blocco pronto a chiudersi, in opposizione alla Nato e all’Unione europea a un estremo, e agli Stati Uniti e ai loro alleati con il Giappone in prima linea, all’altro.
Parlare di nuova Guerra fredda sembra un pretesto per inseguire una certa visione del mondo, più semplice e lineare ma che in realtà non risponde alla situazione attuale. In alcuni ambienti forse si preferisce uno scenario costituito da due parti che si fronteggiano, ma a ben guardare si possono individuare numerosi fattori di cooperazione economica e politica che indicano quanto siano in via di rafforzamento i legami stretti fra importanti attori occidentali e asiatici.
Per esempio, mentre le rivolte anticinesi esplodevano in Vietnam l’italiana Eni siglava un contratto di esplorazione con Pechino in un’area a poche miglia a Nord delle isole Paracelso; all’inaugurazione del semestre europeo sotto la presidenza italiana, varie forze politiche a Palazzo Madama hanno chiesto di riequilibrare i rapporti con Mosca, senza ovviamente mettere in dubbio il carattere atlantico della posizione di Roma. Esempi che chiariscono la complessità delle ragioni attuali, che non permettono di parlare della netta contrapposizione di due blocchi.
Prima del 1990 si scontravano due sistemi economici, collettivista e liberista, caratterizzati fortemente da ideologie contrarie. Oggi, la “guerra” si svolge ancor più che in passato all’insegna di grandi interessi economici, molto spesso trasversalmente condivisi. Di fatto non esistono basi comuni nelle prospettive ideologiche del partito unico cinese e in quelle che caratterizzano la politica russa. L’intesa si limita a considerazioni pragmatiche. Lo dimostra anche il fatto che la Federazione russa è uno dei maggiori fornitori di armamenti di Paesi che hanno in attivo contenziosi territoriali con Pechino (India, Vietnam, Indonesia). Eppure, c’è chi vuole riscoprire il passato e scorge ovunque un indizio dell’irrigidimento fra due blocchi: Washington vuole prolungare la missione sulla stazione orbitante internazionale; Mosca risponde di non poter assicurare la propria presenza oltre il 2020. Il timore è una possibile intesa fra Russia e Cina anche in materia aerospaziale per inaugurare una nuova sfida. Così è stato rievocato persino lo spettro della corsa allo spazio.
Al di là di queste riflessioni, ovvero che esistono interessi talmente intrecciati che sarebbe improprio parlare di nuova Guerra fredda e che il patto sino-russo non è altro che il normale risultato delle politiche geostrategiche delle due nazioni, è chiaro che la tensione stia aumentando agli estremi del continente eurasiatico. Per comprenderne le ragioni è necessario uno sguardo dall’alto capace di abbracciare l’intero pianeta. […]
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July 8, 2014
Strategia