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I repubblicani del senato USA si avvicinano alla maggioranza

October 6, 2014

Notizie, Politica

Mancano meno di cinque settimane alle elezioni di medio termine – mid-term – negli Stati Uniti, in cui sarà rinnovata l’intera Camera dei Rappresentanti e più di un terzo del Senato. Ad oggi i repubblicani hanno la maggioranza alla Camera (233-199) mentre i democratici controllano il Senato (55-45). Secondo i modelli più attendibili, che nelle elezioni di due e di quattro anni fa riuscirono a prevedere i risultati con grande precisione, la probabilità che i repubblicani ottengano la maggioranza anche al Senato sono tra il 55 e il 60 per cento. Gli stati che potrebbero passare ai repubblicani sono: South Dakota, West Virginia, Montana, Louisiana, North Carolina, Arkansas e Alaska. Ai repubblicani basta guadagnare sei seggi per conquistare la maggioranza e essere in grado di creare non pochi problemi al presidente Obama.
Dall’elenco parziale degli stati in ballo presentato sopra si nota subito una caratteristica importante: sono quasi tutti stati rurali e non molto popolati. Di conseguenza, in linea con le tendenze politiche negli Usa, scelgono prevalentemente candidati repubblicani nelle elezioni sia presidenziali che regionali. Il fatto che ci siano al momento dei Senatori democratici che rappresentano questi stati riflette la popolarità specifica di alcuni personaggi locali e anche l’effetto traino esercitato dalla prima elezione di Obama nel 2008, quando per questi legislatori cominciò il mandato di 6 anni che ora sta scadendo.
Ogni stato elegge due senatori, limitando l’impatto delle differenze di popolazione tra gli stati urbanizzati e quelli più rurali, fornendo un vantaggio relativo ai repubblicani, in quanto ci sono più stati “rossi” – come vengono definiti nei media – rispetto agli stati “blu” dominati dai democratici.
I seggi alla Camera invece vengono determinati in base a collegi che rappresentano una certa quantità di popolazione, più o meno uguale in tutto il paese. In questo caso la maggioranza attuale sembrerebbe indicare che i repubblicani ottengono la maggioranza dei voti, ma in realtà non è così. Anzi, nelle elezioni del 2012 i candidati democratici per la Camera hanno ottenuto 59,6 milioni di voti, contri i 58,2 milioni dei repubblicani. La maggioranza dei repubblicani alla Camera si spiega con il redistricting, cioè la possibilità per i parlamenti dei singoli stati di modificare la conformazione dei collegi elettorali ogni 10 anni; siccome i repubblicani controllano un numero maggiore di stati, hanno sfruttato questo processo per creare dei distretti favorevoli, ammassando artificialmente più elettori democratici insieme e così aumentando i distretti competitivi per i repubblicani. Questa perversione del redistricting è stata impugnata a livello legale, ma per ora non sembra prossimo un cambiamento. I partiti combattono la battaglia per il controllo nazionale deformando la cartina a livello locale.
Per i repubblicani la maggioranza è in vista, ma non sicura. Cinque settimane sono un tempo abbastanza lungo per assistere ad un cambiamento di scenario, e le variabili sono molte. Se il controllo del Senato cambierà, Obama si troverà un Congresso pronto a mettergli il bastone tra le ruote in ogni modo possibile, praticamente garantendo la stagnazione legislativa per altri due anni (già l’attuale legislatura è stata tra le meno produttive della storia americana). C’è anche chi tra i repubblicani parla di impeachment, ma i temi sollevati per ora rimangono quelli strumentali legati alla riforma sanitaria o alle nomine presidenziali, piuttosto che quello più serio della preoccupante espansione dei poteri presidenziali nel campo della sicurezza nazionale in atto da anni.
Comunque i leader del partito preferiscono evitare di parlare di impeachment, temendo di essere visti come troppo faziosi e punitivi contro Obama, rischiando di danneggiare le prospettive del partito repubblicano per le elezioni presidenziali del 2016.

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