Il governatore della Florida Ron DeSantis, che per anni aveva abbracciato una posizione di fatto neoconservatrice in politica estera, ha recentemente cominciato a moderare la sua linea in merito all’Ucraina, affermando che non è nell’interesse americano “entrare in una guerra di procura con la Cina, impegnarsi in questioni come le terre di confine o la Crimea”. Ha aggiunto che la preoccupazione che la Russia possa invadere dei paesi Nato non è lontanamente realistica, definendo i russi “una potenza militare di terzo rango”.
È degno di nota questo spostamento verso la posizione realista perché in passato DeSantis, che è stato membro del Congresso e tra i fondatori del Freedom Caucus – il gruppo di ultraconservatori nel partito repubblicano – ha generalmente mantenuto una linea dura in politica estera, prendendo posizioni nette sulla Russia e sull’Ucraina, sull’Iran e anche su altri temi. Nonostante l’apparente vicinanza a Donald Trump (almeno fino a quando non sono diventate chiare le ambizioni presidenziali di DeSantis), il governatore si era tenuto lontano dalle aperture mostrate dal 45mo presidente verso Mosca, tanto da procurargli un po’ di sfiducia dai commentatori nel mondo pro-trumpiano.
Oggi, dunque, qualcosa è cambiato. Evidentemente si tratta del riconoscimento che una posizione interventista rispetto all’Ucraina non trova molto favore tra gli elettori a cui intende fare appello. È noto, infatti, che tra i sostenitori del partito repubblicano il sostegno per un coinvolgimento americano nella guerra Russia-Ucraina non è più maggioritario. Quindi il cambiamento di DeSantis sembra più che altro opportunistico, un riconoscimento dell’efficacia della posizione di Trump contro le guerre all’estero, ma anche del fatto che le priorità delle istituzioni di sicurezza nazionale spesso non riflettono le priorità degli elettori.
Sarà interessante vedere come questa posizione di cautela verso l’Ucraina, ora seguita dai due candidati repubblicani per le presidenziali 2024 con il maggiore sostegno nei sondaggi (anche se DeSantis non ha ancora annunciato le proprie intenzioni), influirà sul dibattito a Washington. Al momento è in atto una dinamica contraddittoria nelle istituzioni americane per quanto riguarda la guerra: mentre a livello pubblico si afferma il sostegno a Kiev “for as long as it takes”, dietro le quinte crescono le preoccupazioni, e anche la volontà di incoraggiare il presidente ucraino Zelensky a cominciare a pensare alle trattative. La strategia sembra quella di mantenere le pressioni su Mosca nella speranza di convincere Putin a rassegnarsi ad una sconfitta almeno parziale, ma allo stesso tempo di porre le basi per un’interruzione del conflitto. Si comincia a parlare di una soluzione del tipo coreano, in cui un cessate-il-fuoco potrebbe congelare la situazione attuale – o quella che risulterà all’esito delle offensive/controffensive delle due parti nei prossimi 2-3 mesi – e dare inizio ad una sorta di dialogo all’infinito sui territori contestati, dopo aver posto fine alla fase più calda del conflitto.
Nei fatti si continua ad aumentare il coinvolgimento, anche perché senza il sostegno di soldi e armi occidentali è chiaro che l’Ucraina perderebbe rapidamente, e quindi ogni speranza di raggiungere un esito favorevole richiede un ruolo centrale dei paesi Nato. Allo stesso tempo questo graduale aumento dell’impegno, anche a livello operativo, rafforza la convinzione dei russi di essere in guerra con tutto l’occidente, e rende più difficile trovare un punto di dialogo. Le voci che sottolineano questo paradosso non mancano negli Stati Uniti, ma per ora non riescono nemmeno ad effettuare un cambiamento di direzione. Come già detto c’è spesso un distacco tra le decisioni istituzionali, specialmente in politica estera, e le posizioni adottate per fare appello agli elettori. Finora Ron DeSantis si è posizionato come il repubblicano che più riesce a parlare alla base repubblicana senza però allontanarsi dagli obiettivi dell’establishment del partito; ma se si rende conto di doversi posizionare in modo più “populista” non solo su temi sociali ma anche in politica estera (in economia sembra ancora lontano, ma non si sa mai), questo potrebbe sbaragliare le carte dentro il mondo repubblicano e porre un nuovo dilemma all’establishment americano, che sperava di aver marginalizzato ormai la minaccia al cosiddetto ordine liberale internazionale.
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February 28, 2023
Notizie, Politica