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Biden

Il protezionismo di Biden

February 10, 2023

Economia, Notizie

Da qualche mese in Europa si protesta energicamente contro la nuova legge americana varata l’anno scorso intitolata Inflation Reduction Act (IRA), un pacchetto di misure che investe centinaia di miliardi di dollari in politiche e tecnologie ambientali. Si afferma che i sussidi massicci che lo Stato americano fornirà per prodotti come i pannelli solari e i veicoli elettrici provocheranno distorsioni del mercato e quindi rappresenteranno un danno per l’industria europea. In Europa si fanno riunioni su come rispondere, e alcuni leader politici si sono rivolti direttamente al presidente americano per discuterne nelle ultime settimane.

Joe Biden ha risposto in modo diretto a queste critiche durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione dello scorso 7 febbraio. Quando ha iniziato a fare l’elenco dei nuovi provvedimenti economici varati durante il suo mandato, ha detto: “sono stato criticato” per questo approccio, ma la mia posizione è che “la supply chain per l’America deve cominciare in America”.

E Biden non si è fermato lì: ha ribadito che per i progetti americani bisogna comprare i prodotti americani, annunciando nuove regole per gli appalti del governo federale. E ha respinto l’idea che ci fosse qualche motivo di scusarsi, affermando che queste politiche sono coerenti con le regole sul commercio internazionale, e criticando le amministrazioni presidenziali passate – democratiche e repubblicane – che avevano mancato di rispettare le regole sul Made in USA.

Questa vigorosa difesa di una politica industriale interventista, e oggi considerata “protezionistica”, non è una sorpresa per chi segue la svolta “post-globale” degli Stati Uniti, in cui le istituzioni governative hanno capito la necessità di lasciare nel passato molti aspetti della globalizzazione economica degli ultimi decenni, per i motivi socioeconomici emersi nella stagione cosiddetta populista, per necessità di resilienza delle attività produttive, e in particolare per ragioni strategiche considerando la competizione globale con la Cina.

È degna di nota, però, l’enfasi esplicita data da Biden a questa nuova direzione, legata ad una serie di iniziative dal sapore “populista” che mirano a ridurre i costi per i consumatori e costringere le grandi società a pagare più tasse, con l’obiettivo di fare una battaglia vistosa contro le disuguaglianze economiche. Siamo lontani anni luce dalla visione mercatista abbracciata anche da presidenti democratici passati come Bill Clinton, che aveva favorito una serie di misure sotto il segno della deregulation, e anche Barack Obama, che non ha contestato la necessità di tagliare voci importanti della spesa pubblica di fronte alle pressioni esercitate dai falchi in tema di bilancio. Si promette, infatti, una battaglia importante con i repubblicani conservatori che intendono costringere la Casa Bianca ad accettare tagli significativi nei prossimi mesi. Tutto questo rappresenta un messaggio importante per l’Europa. Infatti quando Biden parla di “critiche” all’IRA è evidente che si riferisce in parte a quelle internazionali, e il suo messaggio è chiaro: non torno indietro, perché questo è quanto abbiamo identificato come il nostro interesse nazionale, da una parte per aiutare i lavoratori americani, e dall’altra per utilizzare la forza economica americana come arma nella competizione strategica globale. Dunque difficilmente le proteste europee potranno portare a dei cambiamenti forti; conviene invece pensare a come ripensare la politica industriale in Europa, riconoscendo che la struttura e i vincoli stabiliti nei trattati in molti casi non sono adatti ad un mondo che sta ripensando il modello economico degli ultimi decenni.

– Newsletter Transatlantico N. 5-2023

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