Mentre volano le accuse di crimini di guerra e genocidio a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, dietro le quinte negli Stati Uniti emerge una frattura tra due fazioni nelle istituzioni: chi vuole alzare la retorica e le pressioni su Putin al massimo possibile, e chi ammonisce che occorre misurare le parole, e pensare a come trovare una via d’uscita da questa guerra per evitare un’escalation catastrofica.
Dopo aver passato mesi a fare dichiarazioni ferme ma stando attento ad evitare un conflitto diretto tra la Nato e la Russia, di recente il presidente Joe Biden ha cominciato a mancare di disciplina, abbracciando la retorica più propria del Dipartimento di Stato, di regola più interventista tra le istituzioni militari. A Varsavia Biden si è lasciato scappare l’ormai famosa frase “questo uomo non può restare al potere”, facendo pensare che almeno dietro le quinte si pensi effettivamente al cambiamento di regime a Mosca. E ancora prima di verificare i fatti di Bucha, il presidente ha bollato la sua controparte russa come un macellaio, per poi chiedere che Putin venga processato per crimini di guerra.
Non tutti a Washington concordano con questo approccio. Sono rivelatrici le dichiarazioni rilasciate nel corso delle ultime settimane da un funzionario anonimo della Defense Intelligence Agency, l’organo di intelligence del Pentagono, al giornalista William Arkin, che sulla rivista Newsweek ha contraddetto la narrazione generale in merito alla modalità dei russi di condurre la guerra.
“Per quanto sia distruttiva la guerra in Ucraina, la Russia sta causando meno danni e uccidendo meno civili di quanto potrebbe,” inizia l’analista. Spiega che in alcune parti del paese si assiste in effetti ad episodi di distruzione senza precedenti, ma che è importante capire il comportamento dei russi, per non perdere di vista la strategia russa.
Prosegue l’analista della DIA: “So che è difficile… digerire l’idea che le stragi e le distruzioni potrebbero essere molto peggiori, ma è questo che dimostrano i fatti. Questo mi dice, almeno, che Putin non sta attaccando intenzionalmente i civili, ma forse è conscio del fatto che deve limitare i danni per poter lasciare una via d’uscita per i negoziati”.
Le dichiarazioni sono a dir poco sorprendenti, in quanto contrastano nettamente con quello che viene pubblicato da quasi tutta la stampa occidentale. Eppure vengono dal Pentagono – seppur in modo solo ufficioso – facendo capire che si vuole mandare un messaggio alla Casa Bianca: attenti ad andare troppo in là, altrimenti rischiamo di chiudere la porta ad un possibile accordo, e spingere Putin in un angolo da dove potrebbe reagire in modo pericoloso.
D’altronde la strategia della trasparenza e delle accuse è stata già utilizzata da Washington prima dell’invasione russa, e come deterrente chiaramente non ha funzionato. Nonostante i rapporti diplomatici apparentemente in miglioramento tra Russia e Stati Uniti nella seconda metà del 2021, non si sono intavolati negoziati seri in merito alle richieste di Putin di riaffermare di fatto una zona cuscinetto intorno ai propri confini. La Casa Bianca ha deciso che i principi in ballo erano troppo importanti e che non sarebbe stato accettabile fare concessioni senza il consenso dei paesi europei. Di fronte al fallimento di questa strategia basata sulle pressioni, Putin ha scelto di andare avanti, di lanciarsi in una guerra che le istituzioni di Washington credono si rivelerà un grosso errore per il leader russo, con vantaggi geopolitici per il mondo occidentale; tuttavia – sembrano dirci dal Pentagono – vantaggi o no, i costi e i pericoli di questa guerra sono alti, forse troppo alti per adottare una posizione rigida e massimalista.
Il 30 marzo lo stesso funzionario ha rilasciato altre dichiarazioni sempre alla Newsweek, questa volta affermando che la guerra è essenzialmente “finita”, perché si è generata una situazione di stallo che potrebbe permettere una rapida cessazione delle ostilità. L’amministrazione Biden, però, non si sarebbe accorta di questa realtà, concentrandosi invece su come infliggere la massima punizione alla Russia.
L’obiettivo di questo intervento indiretto attraverso i media diventa chiaro nel prosieguo dell’articolo, dove il giornalista ricorda che Washington non ha mai dimostrato interesse a negoziare veramente in questa crisi, e di fatto non sarebbe più in grado di farlo direttamente. Tuttavia, “si potrebbe parlare alla Russia attraverso un canale riservato e utilizzare le informazioni d’intelligence a disposizione… per fornire all’Ucraina una valutazione dello stato mentale di Putin. Ma non si sta facendo nessuno delle due”.
Anche tra gli analisti conservatori cresce la preoccupazione di capire come finirà questa guerra. Negli Usa ci sono pochi dubbi su chi è l’aggressore e sulla necessità di aiutare gli ucraini a resistere, come tra l’altro si pianifica da anni. Ma questo non toglie l’importanza di avere una visione realistica dello scenario. L’opinionista del Washington Post George Will, che non può certamente essere accusato di nutrire simpatie per Putin, ha scritto a fine marzo che occorre porsi la domanda: “Quanto imbarazzo può subire Putin senza fare il passo catastrofico, di utilizzare un’arma nucleare tattica?”
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9. April 2022 at 3:20 pm
lo stato mentale di Putin, vorrei dire che serve lo stato mentale di Biden ma il suo stato è ben chiaro ormai a tutti, alla fine Biden conta quanto di maio..niente, conta chi sta tirando i fili ala mrionetta…che non rinuncia a fare solo disastri…metti le donne al potereb e distruggono l’umanità