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Nelle ultime settimane i contatti diplomatici tra Stati Uniti e Cina erano aumentati:. il 9 luglio il Segretario di Stato americano Antony Blinken e il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi avevano discusso per 5 ore dopo il G20 in Indonesia, mentre il 28 luglio i Presidenti Biden e Xi si erano sentiti al telefono per oltre 2 ore, affrontando le varie differenze politiche tra le due grandi nazioni. I progressi sostanziali, di fatto, sonostati pochi, e non si sono stabiliti i “guardrail” a cui ambisce Washington in quanto manca l’elemento di fiducia di base tra le parti, ma alla Casa Bianca le discussioni di alto livello vengono considerate come un elemento fondamentale per creare un clima di dialogo, in cui evitare sorprese e situazioni potenzialmente pericolose anche a livello militare.
Uno dei punti di attrito, naturalmente, è Taiwan. Negli ultimi mesi l’amministrazione Biden ha dato segnali di abbandonare la politica di “ambiguità strategica”, con dichiarazioni che lasciano meno dubbi sulla volontà americana di difendere l’isola dalla Cina, in caso di conflitto. Per Pechino si tratta di una posizione inaccettabile, che insieme alla guerra in Ucraina può contribuire ad un’accelerazione dei tempi per la riunificazione forzata.
In questo contesto il viaggio di Nancy Pelosi ha fatto aumentare rapidamente le tensioni. La Casa Bianca ha voluto sottolineare che la Speaker della Camera americana è un’attrice politica indipendente, non risponde al presidente. Infatti il Congresso in generale spesso prende posizioni più aggressive in politica estera rispetto all’amministrazione presidenziale. In questo caso i legislatori hanno un preciso piano per condizionare la diplomazia di Biden e Blinken: si propone una legge che definirebbe Taiwan un “alleato non-Nato principale”, e che darebbe all’isola 4,5 miliardi di dollari di aiuti per la sicurezza e sostegno per la partecipazione nelle organizzazioni internazionali.
La Casa Bianca sta lavorando per fermare questa iniziativa del Congresso, sottolineando che non solo contrasterebbe con la politica di “One China”, ma minerebbe l’autorità costituzionale del presidente di decidere come condurre la politica estera del paese.
Nei fatti, Biden si è già mosso in questa direzione, ma si vuole evitare un cambiamento formale, proprio per tenere aperti i canali di dialogo. Invece subito dopo la visita di Pelosi a Taipei, Pechino ha interrotto le discussioni con gli Usa su temi militari e climatici.
Nelle ultime settimane i contatti diplomatici tra Stati Uniti e Cina erano aumentati:. il 9 luglio il Segretario di Stato americano Antony Blinken e il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi avevano discusso per 5 ore dopo il G20 in Indonesia, mentre il 28 luglio i Presidenti Biden e Xi si erano sentiti al telefono per oltre 2 ore, affrontando le varie differenze politiche tra le due grandi nazioni. I progressi sostanziali, di fatto, sonostati pochi, e non si sono stabiliti i “guardrail” a cui ambisce Washington in quanto manca l’elemento di fiducia di base tra le parti, ma alla Casa Bianca le discussioni di alto livello vengono considerate come un elemento fondamentale per creare un clima di dialogo, in cui evitare sorprese e situazioni potenzialmente pericolose anche a livello militare.
Uno dei punti di attrito, naturalmente, è Taiwan. Negli ultimi mesi l’amministrazione Biden ha dato segnali di abbandonare la politica di “ambiguità strategica”, con dichiarazioni che lasciano meno dubbi sulla volontà americana di difendere l’isola dalla Cina, in caso di conflitto. Per Pechino si tratta di una posizione inaccettabile, che insieme alla guerra in Ucraina può contribuire ad un’accelerazione dei tempi per la riunificazione forzata.
In questo contesto il viaggio di Nancy Pelosi ha fatto aumentare rapidamente le tensioni. La Casa Bianca ha voluto sottolineare che la Speaker della Camera americana è un’attrice politica indipendente, non risponde al presidente. Infatti il Congresso in generale spesso prende posizioni più aggressive in politica estera rispetto all’amministrazione presidenziale. In questo caso i legislatori hanno un preciso piano per condizionare la diplomazia di Biden e Blinken: si propone una legge che definirebbe Taiwan un “alleato non-Nato principale”, e che darebbe all’isola 4,5 miliardi di dollari di aiuti per la sicurezza e sostegno per la partecipazione nelle organizzazioni internazionali.
La Casa Bianca sta lavorando per fermare questa iniziativa del Congresso, sottolineando che non solo contrasterebbe con la politica di “One China”, ma minerebbe l’autorità costituzionale del presidente di decidere come condurre la politica estera del paese.
Nei fatti, Biden si è già mosso in questa direzione, ma si vuole evitare un cambiamento formale, proprio per tenere aperti i canali di dialogo. Invece subito dopo la visita di Pelosi a Taipei, Pechino ha interrotto le discussioni con gli Usa su temi militari e climatici.
Un altro tema dove Washington teme di vedere un peggioramento delle relazioni riguarda l’Ucraina: gli Stati Uniti vorrebbero spingere la Cina a mettere pressioni sulla Russia per porre fine alla guerra. Secondo Washington solo Pechino sarebbe in grado di influenzare Mosca. Da Occidente sembra decisamente esagerata la reazione cinese ad una semplice visita di una politica a Taiwan; ma in Cina le azioni di questo tipo sono considerate non eventi in sé, ma indicatori di una volontà interventista più in generale. Washington afferma che gli Usa abbandoneranno la One China Policy solo se la Cina dovesse effettivamente attaccare Taiwan, ma Pechino non ci crede. Una fonte nel mondo diplomatico cinese ci ha detto pochi giorni fa che la visita di Pelosi rischia di essere la scintilla che potrebbe provocare un vasto incendio. “La possibilità di guerra è molto più alta che durante la Guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica”.
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August 6, 2022
Notizie, Politica, Strategia