Da secoli ormai esiste una tensione nella storia della Russia in merito alla sua collocazione internazionale: se il Paese deve avvicinarsi all’Europa, concepirsi come un membro a pieno titolo del mondo occidentale, oppure abbracciare la sua natura “eurasiatica”, ponte tra due mondi, con la propria storia che non può essere pienamente assimilata a quella europea.
Dopo la fine dell’Unione sovietica il Paese ha visto un periodo rapido e rocambolesco di apertura e di liberalizzazioni, finito nel disastro quando la “terapia choc” produsse un tracollo economico, sociale e perfino demografico; con il risultato che i liberali e le grandi nazioni occidentali sono stati accusati di aver svenduto e saccheggiato la Russia. Da questa situazione è emerso Vladimir Putin, in cui i russi hanno riposto le speranze di un riscatto, non solo economico ma anche strategico di fronte all’atteggiamento a volte arrogante che proveniva dalle capitali occidentali. La Russia non era più quella di una volta, e si vedeva – ma Mosca non era certamente pronta ad accettare il declassamento strategico del suo ruolo che traspirava dall’atteggiamento di Washington.
Dopo anni di negoziati e avvertimenti, di interventi militari limitati vicino ai propri confini e poi anche in Medio Oriente, il Cremlino ha deciso che era ora di agire in modo massiccio, di difendere la propria sfera d’influenza che l’occidente non è disposta a riconoscerle. Oltre alle difficoltà militari della guerra in Ucraina, con gli alti costi umani e politici, la Russia ora deve affrontare le sanzioni imposte dagli Usa e dall’Europa, il blocco delle importazioni di beni e materiali importanti, e le misure senza precedenti contro la propria banca centrale.
Molti si chiedono come farà la Russia a sopravvivere di fronte a queste pesanti azioni di guerra economica, e perché Putin non sembra preoccuparsi dei loro effetti.
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April 15, 2022
Economia, Politica