(free) – di Paolo Balmas –
La crisi del debito in Sri Lanka ha attratto l’attenzione dei media internazionali ed è stata utilizzata per riflettere sulla Cintura economica cinese (la Belt and Road Initiative). I grandi progetti infrastrutturali della Cintura – che a volte sono in realtà una serie di progetti connessi, come nel caso del corridoio economico in Pakistan – implicano l’indebitamento dei paesi che li ospitano. Per questo motivo si tende a dare la colpa alla Cina dei problemi economici e finanziari di questi e di altri paesi nel mondo. Tuttavia, a ben guardare, gli stessi paesi sono già indebitati e i finanziamenti cinesi rappresentano solo una porzione a volte piccola del totale. Ad esempio, in Sri Lanka il debito contratto con la Cina equivale al 10% del totale. Eppure la Cina è ampiamente considerata la causa del tracollo finanziario singalese. Non solo in ambienti nordatlantici, ma anche in altre regioni il governo dello Sri Lanka è stato accusato di aver dato troppo spazio alla Cina, per progetti (non solo il porto che sarebbe stato e forse sarà una delle ‘perle’ della Cintura marittima) considerati poco utili alla società e all’economia locali.
Una delle accuse che si fanno continuamente alla Cina è che i suoi prestiti hanno un tasso di interesse maggiore rispetto agli aiuti americani o a quelli di organizzazioni multilaterali come la Banca mondiale. Ed è proprio così. I tassi di interesse cinesi sono maggiori. Analisti e accademici prendono questo dato come segno dei nuovi tempi che si prospettano nell’ambito dello sviluppo, specialmente nei paesi economicamente più arretrati ma non solo (anche perchè queste pratiche sono ampiamente usate dalla Cina anche in Europa). Ciò che viene ricordato di meno è che la Cina può permettersi di chiedere più denaro per due motivi. Il primo è che non chiede in cambio trasformazioni politico-economiche-strutturali ai paesi a cui presta il denaro. Il secondo è che a volte negli stessi paesi realizza anche infrastrutture di base come fognature, rete Internet e di telefonia mobile, eccetera, che contribuiscono a un reale sviluppo economico. Ci si potrebbe domandare perchè è la Cina a svolgere questi progetti e non altri. Quello che chiede la Cina in cambio è protezione economica per i suoi progetti, che spesso si risolve in assicurare parte dei contratti a compagnie cinesi. Oltretutto, capita anche che la Cina venga criticata perchè spesso ristruttura il debito. A volte la ristrutturazione implica un prolungamento, ma anche una revisione dei tassi di interesse, ma sempre senza richieste di natura politica.
I paesi africani e asiatici che stanno sull’orlo di crisi di debito e in cui la Cina ne possiede percentuali più alte, hanno comunque la percezione di contrattare da pari a pari. Le imposizioni politiche che arrivano con gli aiuti occidentali e le soluzioni di salvataggio proposte dal Fondo monetario internazionale (spesso riassumibili nella parola austerity), sono ormai ben note a quei paesi. La Cina rifiuta di applicare la dottrina del Club di Parigi e del Washington Consensus. Si tratta di pratiche volte ad assicurare condizioni politico economiche che limitano la sovranità sull’economia nazionale, volte a mantenere le monete locali sottovalutate artificialmente per assicurare le esportazioni di materie prime a costi minimi. Non solo. Spesso sono affiancate a progetti di legge per lo sfruttamento e la proprietà del suolo per facilitare l’estrazione delle stesse materie prime da parte delle compagnie straniere.
La Cina chiaramente si avvale di questi meccanismi messi in piedi da secoli di esperienza occidentale. Ma per capire cosa sta accadendo bisogna cominciare a guardare le cose da un punto di vista diverso, più cinese e meno eurocentrico. Sia ben chiaro, questo non serve a giustificare la Cina, serve piuttosto a capire con chi ha a che fare l’Occidente e soprattutto l’Europa, che oggi si trova compressa fra le pressioni esercitate da Stati Uniti, Russia e Cina. A tale proposito, viene in aiuto la grande metafora dell’acqua che i cinesi utilizzano continuamente per parlare di economia e finanza. La Cina, come altre antiche civiltà, ha costruito cultura, economia e società sulle conoscenze idrauliche, sulle quali sono state sviluppate con maestria (per alcuni versi unica) l’agricultura e il sistema di commercio che hanno caratterizzato la Cina per oltre due millenni. L’atteggiamento mentale cinese si affaccia in modo profondamente diverso sullo scenario internazionale. La percezione di spazio e tempo si può dire che è diversa. Per essere brevi, la Cina sta creando i canali che convoglieranno le acque (economiche e finanziarie) attraverso i continenti, le cui sorgenti si trovano in Cina.
Ciò vuol dire che la Cina non ha molto interesse nel ‘territorio’, nel paese e nelle leggi che ne definiscono la società. Non vogliono cambiare le strutture che trovano in giro per il mondo. Non vogliono imporre un governo mondiale alternativo a quello americano e del dollaro. Nella loro visione, questa transizione avverrà naturalmente quando i canali saranno inondati. E non si tratterà di un governo mondiale come viene inteso in Occidente, poichè l’atteggiamento mentale è sostanzialmente diverso. Gli strateghi occidentali che hanno compreso le differenze profonde tra i due sistemi, hanno concluso che tale prospettiva aumenta i problemi sistemici già presenti nel progetto della globalizzazione, come la dipendenza da filiere troppo lunghe e frammentate, la riduzione progressiva del ruolo pubblico nell’economia in favore di interessi privati e il continuo utilizzo di istituzioni economiche e finanziarie al fine di perseguire alleanze strategiche.
Ecco come sono collegate le due strategie di revisione della globalizzazione e le nuove politiche anticinesi lanciate in concomitanza dagli Usa dell’Amministrazione Trump e dal governo post Brexit di Boris Johnson. In questa prospettiva l’Unione Europea non ha potuto che associarsi, anche se la crescente cooperazione con la Cina stava dando frutti interessanti e ne prospettava di più grandi.
Ciò che risulta paradossale in tutta questa storia è che la Cina è stata in fin dei conti ispirata e incoraggiata dalle grandi corporazioni americane che hanno installato i loro impianti produttivi in Cina molti anni fa. Società come Hp hanno letteralmente messo in comunicazione i governi asiatici ed europei affinchè realizzassero le ferrovie per trasportare i loro prodotti via terra, risparmiando circa due settimane di viaggio rispetto alla via del mare. Obiettivi raggiunti ben prima del lancio della Cintura da parte del presidente Xi Jinping nel 2013. In qualche modo, tuttavia, le ferrovie mettono ancora paura. La filosofia della globalizzazione non ha avuto la forza di cambiare i meccanismi che in passato hanno contribuito a scatenare le grandi guerre, come ad esempio quelli scaturiti dai timori di vedere lo heartland controllato dal nemico o di unire strategicamente l’Asia all’Europa da est a ovest e da sud a nord. A queste dinamiche si aggiungono le sanzioni economiche, la guerra in Ucraina (entrambi rappresentano un blocco per lo sviluppo della Cintura), e i prezzi delle materie prime, inclusi i prodotti agroalimentari. Se la situazione continuerà ad inasprirsi, la congiuntura provocherà nei paesi con debiti alti e incapacità di risolverli problemi simili a quelli dello Sri Lanka. Quando sarà possibile, la colpa sarà data alla Cina. Ma molti, fuori dall’emisfero nordatlantico, comprendono le reali situazioni (ovvero che la Cina è responsabile solo in parte, poiché agisce su un terreno, quello della globalizzazione, preparato e sfruttato dalle potenze occidentali e ormai chiaramente pieno di falle) e ciò aumenterà le divisioni politiche che già si delineano sullo sfondo.
– Newsletter Transatlantico N. 26-2022
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July 29, 2022
Economia