(free) – di Paolo Balmas –
Il presidente russo Vladimir Putin ha approvato un progetto dell’impresa di stato per l’energia nucleare Rosatom da 2,3 miliardi di dollari per la realizzazione di cinque centrali nucleari galleggianti. L’obiettivo del progetto è di fornire l’energia necessaria allo sfruttamento di una miniera di rame e oro nella regione estremorientale della Federazione russa. In una visione più ampia, il progetto permetterà alla Russia di sviluppare ulteriormente le attività navali dei cantieri del Baltico, di perfezionare la tecnologia dei reattori nucleari galleggianti a bassa produzione e soprattutto di sviluppare la regione pacifica della Russia, particolarmente ricca di materie prime e ancora poco sfruttata. Il giacimento di rame in questione è stimato come uno dei più ampi del mondo, capace di produrre a massimo regime per oltre venticinque anni.
L’importanza delle materie prime critiche, dai metalli come rame e oro alle terre rare e altri minerali come litio e cobalto, è in crescita. Si stima un aumento di tali mercati fino a sei volte rispetto ai valori attuali entro il 2040. Tutti questi minerali sono necessari per le nuove tecnologie e ancora di più per sostenere la transizione energetica verso un’economia ‘green’. Da decenni la superiorità tecnologica dell’Occidente è sostenuta dallo sfruttamento di territori ex coloniali. Si pensi ad esempio al Borneo, le cui montagne, sacre alle popolazioni indigene, sono state trivellate e sezionate per esportare metalli preziosi e rari. Assicurare le rotte marittime di queste materie, necessarie per le nostre economie, è la ragione principale della presenza militare sui mari. Nell’ordine mondiale costituitosi dopo la seconda guerra mondiale, si è inserita la Cina, che ha lentamente conquistato il suo spazio nello sfruttamento delle miniere e delle materie in Asia, in Africa e in Sud America.
La Cina viene facilmente criticata per le sue operazioni di sfruttamento, specialmente in Africa, e per l’aumento della sua presenza militare nel mondo. Tuttavia, la Cina non fa nulla di tanto diverso da ciò che fanno le potenze occidentali, non fosse per il fatto che ha costruito e costruisce infrastrutture necessarie allo sviluppo economico dei paesi in cui ha interessi strategici. Alcune città africane si sono avvalse di nuove reti fognarie, elettriche, telefoniche, eccetera. Il risultato, specialmente nella mentalità postcolonialista europea è stato abbastanza rivoluzionario. Con strade e ferrovie, la Cina sta unendo punti che altri si sono impegnati a tenere separati per quasi mezzo millennio. Così, la proiezione esterna della Cina è diventata il tema principale della politica estera in Occidente.
La Cina è stata criticata anche per la capacità delle sue imprese di stato di accettare convenienti pagamenti in materie prime, invece di utilizzare l’ingranaggio del debito. In fondo, questo metodo non è nuovo alle corporazioni occidentali. Un esempio per tutti, la Pepsi ha penetrato il mercato sovietico in tempi ormai remoti barattando il suo prodotto con vodka che rivendeva negli Usa. Quando negli anni Ottanta il consumo di Pepsi superò il miliardo di bottiglie l’anno, l’Unione Sovietica non aveva più modo di reggere il passo e si accordò di scambiare Pepsi per navi da guerra (rivendute a vari paesi in Europa). Ciò permise al CEO della Pepsi di dire al presidente Bush (padre) che stava demilitarizzando il nemico più in fretta di lui. Ma un affare stabile ha bisogno di un sistema politico stabile. Con la caduta dell’Unione, la Pepsi perse il mercato, sostituita da Coca Cola e McDonald’s.
Non può stupire se molte corporazioni occidentali fanno affari d’oro in Russia e in Cina mentre le forze politiche e i massmedia si scagliano contro di esse. Sono le contraddizioni del sistema democratico. Tuttavia, oggi sembra che le potenze occidentali siano alla ricerca di una nuova visione per la Cina e la Russia. La ricerca è condizionata da visioni a volte molto diverse, ma anche da obiettivi assoluti e condivisi. Uno di questi è di evitare con ogni mezzo un matrimonio strategico fra Mosca e Pechino. Facile da comprendere ma difficile da ottenere. Le due hanno dimostrato di aveve una stabilità politica invidiabile all’esterno, seppur non siano condivisi e accettati i metodi per assicurare tale stabilità. Questo obiettivo di tenere separate le due può facilmente ricordare i tempi della Guerra Fredda e l’avvicinamento di Washington a Pechino orchestrato dall’amministrazione Nixon.
A mettere paura è la naturale complementarità delle risorse energetiche russe, dagli idrocarburi ai metalli critici, alla trasformazione economica, tecnologica e industriale attualmente in atto in Cina. La somma delle due è ciò che mette in discussione la superiorità del patto transatlantico. Non solo per l’aumento di potere sui mercati e di presenza militare che potrebbero raggiungere Russia e Cina, ma per il fatto che una parte del controllo su quei mercati sfugge necessariamente a chi detiene la guida dell’economia mondiale. Si intravede all’orizzonte la crescente ombra di decisioni cruciali da prendere e forse anche di azioni incisive, che però non potranno essere amate da quegli elettori che hanno già mostrato insofferenza e disprezzo per politiche che hanno avuto prezzi da pagare troppo alti. Da qui l’attuale dilemma d’Occidente.
– Newsletter Transatlantico N. 16-2021
May 11, 2021
Economia