(free) – di Paolo Balmas –
In seguito all’incidente di Fukushima, provocato dal grande tsunami che dieci anni fa (11 marzo 2011) ha travolto le coste della regione del Tohoku in Giappone, l’energia nucleare è stata messa ancor di più in discussione. L’inondazione aveva provocato una fuoriuscita di radiazioni dal reattore Dai-ichi, che solo poche settimane prima era stato controllato e considerato sicuro. Non ci si aspettava di certo un colpo così duro come quello del terremoto e dello tsunami. Le centrali nucleari del Giappone furono spente. La demonizzazione dell’energia nucleare, tuttavia, non riflette le reali conseguenze della fuoriuscita del materiale radioattivo. Infatti, quel materiale, adesso sappiamo, non provocò nemmeno una delle circa quindicimila vittime. Si potrebbe discutere a lungo se questo dato giustifichi o meno una rivalutazione del pericolo nucleare civile. Sono state sicuramente meno discusse le conseguenze geopolitiche dello spegnimento delle centrali giapponesi e la creazione di un mercato per il consumo di gas naturale. Il Giappone si è trovato obbligato ad acquistare gas dai grandi produttori vicini e lontani, dalla Russia, dal Golfo, dagli Usa. La scelta di utilizzare una risorsa piuttosto che un’altra, di un fornitore piuttosto che un altro, è un problema geopolitico e geoeconomico.
L’accavallarsi della demonizzazione del nucleare e delle più vivaci narrazioni sul cambio climatico ha scaturito una serie di dibattiti nei parlamenti e sui mass-media di tutto il mondo. Una delle conseguenze è stata la decisione da parte di alcuni governi di dismettere le centrali nucleari e sostituirle con energia rinnovabile, con gravi dubbi sulla reale sostenibilità di tali progetti. Un caso importante è quello della Germania che ha deciso non solo di dismettere i reattori nucleari, ma di farlo in un arco di tempo più breve della chiusura delle centrali a carbone (molto più inquinanti). Si è tentati di accettare la lezione tedesca per il semplice fatto che è tedesca. In altre parole, la Germania è uno dei paesi più avanzati del mondo e si pensa che non stia per suicidarsi in nome di un ideale ‘green’ pieno di falle. Ancora una volta, in ogni caso, il problema principale è di ordine geopolitico. Oltre a sostenere la transizione energetica, la Germania vuole dimostrare che altri paesi che non hanno deciso di puntare così tanto sulle energie rinnovabili hanno torto. Berlino rafforzerebbe così il suo potere simbolico (o soft power), già esercitato attraverso il suo successo economico, principalmente grazie a un sistema bancario più distribuito e vicino alle esigenze locali. In tal senso, si intravede sullo sfondo una crescente disputa fra Germania da un lato e Stati Uniti e Gran Bretagna dall’altro.
Gli Usa, attualmente, sono fra i principali sostenitori dell’energia nucleare e delle nuove tecnologie nucleari in particolare. Negli ultimi tempi dell’amministrazione Trump sono state emanate le leggi necessarie per partire con la realizzazione di micro e piccoli reattori, oltre al prolungamento della vita dei reattori tradizionali. Dietro il nuovo mercato ci sono sostenitori del calibro di Bill Gates. Non solo la lobby americana del nucleare vuole affermarsi e aprire una nuova era del nucleare in casa, ma si propone anche come esportatrice delle tecnologie in alcuni paesi europei. Qui, l’entusiasmo di questi paesi sembra creare un attrito latente con quelli che invece stanno optando per una vita senza nucleare, come Italia e Germania. Non è da escludere che in futuro si riaprano le pagine del dibattito sul nucleare in Italia. Per il momento è la Francia che sta cavalcando lo slancio suggerito dalle politiche energetiche a Washington. La francese EDF guarda con attenzione al nuovo mercato dei piccoli reattori per raggiungere gli obiettivi della lotta al cambiamento climatico. Il risultato, ancora non del tutto materializzatosi, è una ulteriore spaccatura in seno all’Europa, con la Francia e la Germania che prendono due opposte direzioni. La Francia in linea con il grande alleato di oltreoceano e la Germania che insiste nel rafforzare i rapporti con la Russia proprio sull’energia, soprattutto attraverso il progetto di Nord Stream II.
Oltre ai ragionamenti sulla transizione energetica e sul cambiamento climatico vi sono questioni che raramente emergono alla superficie dell’oceano mass-mediatico. Un problema politico di rilievo è quello dell’impiego. L’industria nucleare sostiene migliaia di famiglie negli Usa e l’idea di dismettere progressivamente le centrali nucleari insieme alle centrali a carbone rappresenta un prezzo socio-politico difficilmente accettabile. Una questione che non risparmia nemmeno la Germania. Ci sono poi le scorie. Un incremento della produzione nucleare implica la designazione di nuovi luoghi dove stoccare materiale radioattivo; questione alla base dell’attuale scontro fra lo stato del Nuovo Messico e il governo federale negli Usa. Infine, ragione che convince molti a sostenere il nucleare, vi è il problema della crescente domanda energetica. Un mondo a emissioni zero, ad esempio, richiede la trasformazione del parco macchine mondiale. Le auto elettriche richiederanno un impegno energetico senza precedenti. Si pensi che l’attuale tecnologia richiede una carica di un’ora ogni due ore di viaggio circa. Non solo il sistema è meno pratico di quanto si voglia far pensare, ma richiede anche un sostanziale aumento della produzione di energia elettrica.
La rivoluzione energetica che sta avvenendo sullo sfondo degli avvenimenti degli ultimi anni, dall’abbattimento dei prezzi e l’incremento della produzione mondiale di petrolio, alla crisi del coronavirus, passando per le crisi economiche e le guerre in paesi produttori di greggio, non sta seguendo necessariamente le narrazioni sui bisogni relativi al cambiamento climatico. Una prima fase della rivoluzione è stata segnata con le leggi promulgate alla fine della seconda amministrazione Obama che hanno fatto degli Usa un paese esportatore di idrocarburi. La seconda fase è stata segnata dalle leggi dell’amministrazione Trump sul nucleare. Come la prima ha avuto ripercussioni sui mercati mondiali del petrolio, la seconda, la rivoluzione nucleare, avrà ripercussioni sui mercati dell’uranio. Alcuni luoghi nel mondo, come l’Asia centrale, saranno al centro di attriti geopolitici nei prossimi anni. Inoltre, le dinamiche scaturite da queste rivoluzioni non potranno essere sottovalutate nell’evolversi delle spaccature già esistenti in Europa. Sottovalutare tali dinamiche potrebbe essere un errore grossolano, ma determinante, per il futuro dell’Unione Europea.
– Newsletter Transatlantico N. 13-2021
April 10, 2021
Economia, Notizie