– di Andrew Spannaus –
Nelle settimane successive alla sospensione della campagna elettorale di Bernie Sanders, Joe Biden si è messo al lavoro per ricompattare il partito, ma si scontra con una situazione a dir poco particolare. Non può andare in giro a fare comizi e incontri con gli elettori, e tanto meno con i donatori. Naturalmente le riunioni virtuali si moltiplicano, ma è cresciuta subito l’ansia tra l’establishment democratico per il tempo che verrà perso nel consolidare il sostegno tra un elettorato che ha scelto Biden non perché genera entusiasmo, ma perché è sembrata la scelta meno rischiosa di fronte agli altri candidati centristi meno noti e con meno esperienza, e rispetto alla retorica rivoluzionaria di Bernie Sanders.
Ormai tutti gli ex-avversari di Biden lo hanno appoggiato pubblicamente; l’ultima in ordine di tempo è stata Elizabeth Warren, dopo il sostegno repentino di Sanders. Anche Barack Obama e ora Hillary Clinton hanno dato il loro endorsement formale negli ultimi giorni; il loro aiuto non è mai stato in dubbio, ma l’idea è di dimostrare la compattezza del partito e dare lustro a Biden, che non è riuscito a presentarsi bene al pubblico nelle ultime settimane: a volte è apparso incoerente e poco energico nelle apparizioni televisive riprese dalla taverna della sua casa nel Delaware, aumentando le preoccupazioni tra i suoi alleati.
Nella prima fase della crisi coronavirus Trump ha beneficiato dell’effetto leader in tempi di crisi, vedendo una crescita nel suo tasso di gradimento tra la popolazione grazie all’impressione di essere al timone del paese per affrontare l’emergenza. Ormai, però, l’effetto è svanito, e con il passare delle settimane sono i funzionari della Casa Bianca a preoccuparsi per la sovraesposizione del presidente, che dice tutto quello che gli viene in mente, spesso lanciando messaggi confusi e anche pericolosi, costringendo anche gli esperti che collaborano con lui a smentirlo: ricordiamo l’ultima in ordine di tempo: l’idea di fare iniezioni di disinfettanti. Dopo la reazione negativa tra le istituzioni sanitarie, e la derisione dei media, si è deciso di limitare le uscite televisive del presidente, che ormai sembrano danneggiarlo più che aiutarlo.
Dunque la contesa presidenziale si sta trasformando in una corsa al ribasso: per entrambi i candidati la cosa migliore è che si parli degli errori e delle gaffe dell’altro. Per Trump, l’uscita da questa situazione dipende tutto dall’andamento della crisi: con le parziali riaperture in atto, se la curva del contagio non risalirà e l’economia comincerà a riprendersi, il presidente potrà dire di avere gestito bene l’emergenza. Biden, invece, segue la strada delle apparizioni media mirate, su canali e trasmissioni seguiti da segmenti precisi dell’elettorato, per fare vedere che sta corteggiando tutti i settori importanti del mondo democratico.
Il prossimo passo significativo sarà la scelta del candidato vicepresidente di Biden, una decisione che inaugura la prossima fase della campagna, e regala allo sfidante un periodo di visibilità importante; allo stesso tempo lo espone a forti pressioni da gruppi diversi che vogliono ottenere più peso istituzionale. Al momento le candidate più probabili – Biden ha già annunciato che sceglierà una donna – sono le senatrici Kamala Harris, Amy Klobuchar e Elizabeth Warren, tutte candidate alle primarie. La prima beneficia del forte sostegno della comunità afroamericana, che ha svolto un ruolo fondamentale nella vittoria di Biden tra i democratici. La seconda è più vicina a Biden ideologicamente, e potrebbe aiutarlo nella zona importantissima del Midwest. Warren, invece, seppur quella che aiuterebbe di più a compattare il partito recuperando l’ala progressista, sarebbe un rischio per Biden in quanto lei ha un proprio programma molto forte e un approccio più aggressivo al cambiamento delle istituzioni.
La brutta notizia per Biden, e anche per la donna che sceglierà, è che sta crescendo uno scandalo di molestie sessuali contro l’ex vicepresidente. Un’assistente che lavorava per lui al Senato, Tara Reade, lo accusa di averla accostata in un corridoio nel 1993, improvvisamente mettendole le mani sotto i vestiti. Per un po’ di tempo Biden è riuscito ad ignorare la questione in quanto mancavano conferme della versione di Reade, ma ora delle conferme sono arrivate da persone a cui Reade aveva raccontato l’episodio a suo tempo. Per il candidato di un partito che promuove il movimento #MeToo, essere al centro di un’accusa del genere solleva molti problemi, e sarà ancora più scomodo per la donna a cui sarà chiesto di affiancarlo per combattere Donald Trump, che è stato al centro delle accuse di molestie sessuali durante la campagna elettorale del 2016.
– Newsletter Transatlantico N. 14-2020
May 4, 2020
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