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– di Paolo Balmas-
Il primo ministro del Giappone, Shinzo Abe, si è dimesso per ragioni di salute. Il suo partito, Partito liberaldemocratico (Pld), ha trovato il successore in Yoshihide Suga, confermato novantanovesimo premier dal parlamento giapponese. Suga si è presentato come un deciso riformatore che vuole seguire le orme di Abe. Suga è stato il suo braccio destro e viene descritto come un abile uomo di palazzo che, in tutti questi anni, ha operato nell’ombra avendo un peso nei processi politici di governo. Una figura diversa da quella di Abe, prima di tutto per le origini. Suga proviene da una famiglia di produttori agroalimentari, mentre la famiglia Abe vanta altre esperienze politiche. Malgrado le storie poco chiare che avvolgono la famiglia Abe nell’immediato dopoguerra, Shinzo Abe ha goduto in passato di un consenso che ha raggiunto vette del settanta percento nei sondaggi, negli ultimi mesi era in declino. Secondo le prime stime, Suga non gode di un sostegno forte dell’elettorato. Ciò lascia presagire che manterrà il suo ruolo per questo anno di mandato che rimane, a meno che non si riveli anche come un abile politico, in un frangente talmente critico in cui si trova il Giappone oggi.
Abe lascia un Giappone afflitto da vari problemi, alcuni dei quali sembrano davvero insormontabili. Fra i più spinosi vi sono l’espansione economica cinese e l’invecchiamento ormai veloce della popolazione, ai quali si aggiunge l’attuale crisi dovuta al coronavirus. La sua strategia, nota come Abenomics, si è sviluppata su tre pilastri: stimolo monetario (in Giappone chiamato Quantitative and Qualitative Easing), politica fiscale e riforma strutturale. Il forte stimolo monetario è stato operato dalla Banca centrale del Giappone, con un acquisto di obbligazioni per un valore di circa 760 miliardi di dollari l’anno. La politica fiscale ha ottenuto due aumenti della tassa sui consumi, nel 2014 e nel 2019 (che non sono stati molto popolari). La riforma strutturale, che riguarda vari punti, specialmente la politica industriale, non è stata spinta con la decisione che il primo governo Abe aveva promesso. Le politiche fiscale e industriale avevano come obiettivo principale la risoluzione dei problemi endemici della società giapponese, ossia la trasformazione del mercato del lavoro e la popolazione anziana con un sistema pensionistico troppo costoso.
Il nuovo primo ministro Suga ha dichiarato di continuare sui passi di Abe. Inizialmente aveva accennato alla volontà di assicurare alla popolazione anziana un sostegno maggiore (aumento delle tasse), ma pare si sia subito corretto, dicendo che non ci sarà bisogno di rivedere nuvamente la tassa sui consumi durante questo intero decennio. Ciò implica che non ci saranno nemmeno troppe attenzioni a ridurre il debito pubblico, che ha superato il 250% del Pil. Che Suga seguirà i passi di Abe si vede anche dal fatto che la squadra di governo non cambierà, eccezion fatta per alcuni spostamenti. Finanze ed Esteri rimarranno rispettivamente a Taro Aso e a Toshimitsu Motegi, due nomi importanti nelle file del Pld. Una delle poche novità riguarda la Difesa, che sarà guidata dal fratello minore di Abe, Nobuo Kishi. Difesa e sicurezza rappresentano un altro elemento delicato nella politica giapponese di questi anni.
Se c’è un settore che Abe ha riformato è proprio quello della difesa e della sicurezza nazionale. Abe, che aveva creato il Ministero della Difesa durante il suo primo breve mandato nel 2007 (prima esisteva solo un’agenzia statale che si occupava delle “forze di autodifesa”), malgrado il malcontento di una parte della popolazione, è riuscito a riformare l’esercito e il sistema di intelligence sull’onda dei cambiamenti geopolitici regionali. La Cina aumenta la propria presenza militare sui mari; la Corea del Nord vede il Giappone come un alleato degli Usa e un nemico a cui non sono stati perdonati i fatti del passato; gli Usa hanno riorganizzato la loro dislocazione nella regione, compreso un disimpegno parziale delle forze presenti sull’arcipelago nipponico. Sin dal principio della riforma, il governo Abe si è adoperato a ponderare una potenziale intesa con l’Australia e l’India per contenere l’espansione cinese. Suga dovrà destreggiarsi su questo terreno, che implica una lunga serie di relazioni economiche con vari paesi della regione. Ma anche con la stessa Cina poiché, malgrado le preoccupazioni, le relazioni economiche e industriali delle due superpotenze asiatiche tendono ad aumentare.
Abe ha dovuto misurarsi con una Cina in piena espansione militare ed economica. Nel decennio di Abe, la Cina dopo aver concluso la lunga riforma del sistema bancario, si è lanciata alla creazione di una rete bancaria internazionale complementare al progetto della Cintura economica. É riuscita, almeno per il momento, a creare nuovi mercati. Su questo sfondo, il Giappone di Abe ha cominciato una nuova pagina della sua storia, con un’espansione delle proprie attività economiche (più silenziosa di quella cinese) soprattutto nei paesi asiatici, dall’Asean all’India, fino alle repubbliche centroasiatiche. Suga, e chi dopo di lui, dovrà misurarsi con qualcosa di più. Questo decennio sarà caratterizzato da un’ulteriore espansione delle attività economiche cinesi, dallo sviluppo del suo mercato obbligazionario e dalla diffusione della sua moneta, il renminbi (RMB). Una valuta, in questo caso il RMB, ha un suo potere geoeconomico intrinseco, che in Asia orientale è già una realtà. La banca Morgan Stanley, in un suo recente rapporto, ha previsto che entro il 2030 il RMB sarà la terza moneta per gli scambi a livello mondiale, ovvero supererà lo yen e la sterlina. La trasformazione economica sarà accompagnata da un incremento delle dispute fra Usa e Cina. Per il Giappone non sarà facile gestire l’alleanza con Washington da un lato e le opportunità di un mercato finanziario e dei consumi in Cina sempre più aperto e attraente dall’altro.
Le prossime elezioni in Giappone si terranno a settembre 2021. Il Pld oggi sembra già essere il vincitore di fronte al secondo partito del paese, il Partito democratico. Sembra si debba capire solo quale fazione del Pld prevarrà. Tuttavia, il terreno è scivoloso. Sebbene la crisi del coronavirus colpirà l’economia del Giappone in modo più lieve rispetto a molti altri paesi, le ripercussioni politiche non sono da sottovalutare. Infatti, la discesa dei consensi nei confronti di Abe negli ultimi mesi sembra aumentare insieme alla diffusione del virus e alle sue conseguenze. Esistono poi problemi, di cui si parlava, innati alla società giapponese: dalla popolazione che invecchia e tutto ciò che comporta (principalmente necessità di assistenza sociale e medica), al mercato del lavoro che negli ultimi due decenni ha mostrato nuovi fenomeni che non presagiscono orizzonti rosei per una porzione della popolazione più giovane. Questi problemi non potranno essere risolti nel breve termine, ma avranno certamente ripercussioni pesanti sulle prossime elezioni.
– Newsletter Transatlantico N. 27-2020
September 23, 2020
Economia, Politica