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Prospettive per la Corea del Nord

July 1, 2018

Economia, Politica

(free) – analisi di Paolo Balmas –

Il viaggio di due giorni, cominciato il 19 giugno, di Kim Jong-un in Cina è stato avvertito da alcuni osservatori come il momento per il leader nordcoreano di riferire personalmente al presidente cinese Xi Jinping dell’incontro con Trump avvenuto una settimana prima a Singapore. Tuttavia, la narrazione che vede il re di provincia (Kim) recarsi dall’imperatore (Xi) per aggiornarlo sulle questioni riguardanti il comune potenziale nemico (Trump), sembra avere dei limiti. È vero che Kim si era recato in segreto a Pechino nei mesi precedenti, ma il ruolo della Cina nel processo di denuclearizzazione della penisola coreana ha una connotazione più semplice di quella che si vorrebbe in qualche modo intendere. Al di là dei futuri interessi economici, l’obiettivo di Pechino, infatti, era e è ancora quello di contare di più sul piano diplomatico internazionale. La Cina ha svolto certamente un ruolo di mediazione, sebbene i riflettori siano stati puntati sulla decisione di Kim di cambiare atteggiamento nei confronti del mondo e sulla bravura di Trump nel trattare con il dittatore di uno degli “stati canaglia”, al fine di evitare una guerra considerata inevitabile fino a pochi giorni fa. Tutta la vicenda dimostra quanto l’equilibrio internazionale dipenda fortemente dalle decisioni prese alla Casa Bianca e quanto siano inconsistenti quelle tesi che parlano del declino del potere di Washington. In ogni caso, l’integrazione della Corea del Nord nel sistema internazionale rappresenta una delle sfide maggiori di questi anni.

I primi passi sono stati fatti. Da un lato, gli Stati Uniti hanno mantenuto fede alla propria parola di terminare le operazioni militari di esercitazione in Corea del Sud. La portavoce del Pentagono, Dana White, ha confermato che le esercitazioni congiunte con Seoul, previste per agosto, sono state rinviate in modo indefinito. Dall’altro, la Corea del Nord ha promesso di cominciare a chiudere i siti per l’arricchimento dell’uranio e i test nucleari al fine di ottenere l’eliminazione delle sanzioni economiche. La dichiarazione di Singapore presuppone che le sanzioni siano eliminate solo nel momento in cui Pyongyang dimostrerà di aver portato a termine una denuclearizzazione “completa, verificabile e irreversibile”. Una condizione accettata dagli alleati di Washington nella regione, Corea del Sud e Giappone, e dalla Cina.

 Un fattore determinante nel processo di distensione, denuclearizzazione e in seguito di riunificazione, consiste nella presenza attuale di due governi stabili tanto a Pyongyang quanto a Seoul. La prima si sta mostrando unita e convinta della scelta di cambiare corso alla propria storia; la seconda ha dimostrato, con la vittoria nelle recenti elezioni amministrative (14 giugno 2018) del partito del presidente Moon Jae-in, che il consenso appoggia le politiche di apertura. Ma le posizioni e i timori di fondo rimangono vivi e non è del tutto chiaro come si farà a superarli. Da un lato, la Corea del Sud non vuole spartire con il Nord le ricchezze accumulate fino a oggi, mentre Pyongyang non vuole abbandonare il proprio sistema di potere, difeso fino ai limiti del possibile. Per il momento, però, la volontà e l’entusiasmo da entrambe le parti stanno ottenendo i primi risultati. Le due Coree si sono accordate per ristabilire il dialogo a livello militare, il Sud ha avviato l’apertura di un ufficio di collegamento nella città di confine di Kaesong e si sta lavorando alla creazione di una squadra unica di basket per gli Asian Games, che sarà rappresentata da una sola nuova bandiera.

Alle operazioni di riavvicinamento fra le due Coree si affiancano le attività diplomatiche delle potenze regionali. Il Cremlino, interessato all’integrazione del territorio nordcoreano nel sistema di commercio internazionale, sta assumendo un ruolo di primo piano, per non perdere terreno di fronte agli Stati Uniti, nel tentativo di intraprendere quei progetti infrastrutturali, energia e trasporti, che ha ormai da molti anni pianificato per penetrare il mercato energetico dell’Estremo Oriente (cosa che in parte è già riuscito a fare). Così, Putin ha invitato Kim a Mosca e, insieme al presidente Moon, discuteranno la possibilità di un programma infrastrutturale congiunto. Allo stesso tempo, il governo russo punta a una definitiva soluzione del contenzioso territoriale con il Giappone e alla firma di un trattato di pace che attende da più di settanta anni di essere stilato. La Russia si è anche proposta come mediatrice per concordare l’avvicinamento fra Giappone e Corea del Nord, i cui leader si potranno incontrare nella città di Vladivostok. La normalizzazione del contesto geopolitico estremorientale non potrà che tradursi in un periodo di crescita e di sviluppo delle attività e del territorio russo che si affaccia sul Pacifico.

Il Giappone, per il momento, è il paese che più si è trovato ai margini della trattativa, ma non per questo meno coinvolto e interessato nel processo di pace nella penisola coreana. Il dialogo sullo scambio dei prigionieri fra Pyongyang e Washington non ha tenuto conto della questione dei rapimenti di cittadini giapponesi in Corea. L’atteggiamento dell’amministrazione Trump è stato avvertito a Tokyo come un segnale che rivede di fatto i rapporti fra alleati. Dove si era sempre tentato di formare un fronte comune contro il regime di Kim, è prevalsa una posizione di Washington che tende prima a risolvere i propri problemi (possibile interpretazione di America First). Fra dazi sull’acciaio e nuova politica Usa in Corea del Nord, il Giappone ha subito un piccolo “shock” (decisamente piccolo rispetto all’apertura di Nixon alla Cina negli anni Settanta del Novecento).

Il processo iniziato con l’incontro di Singapore ha già prodotto alcuni risultati importanti, ma nel complesso (se funzionerà) sarà decisamente lento, soprattutto se si pensa a una reale unificazione delle due repubbliche coreane. La prospettiva attuale è quella di una spartizione del mercato che si va creando fra Usa e Cina, con il tentativo di mantenere per quanto possibile ai margini la Russia e il Giappone (per non parlare dei paesi europei). Washington ha l’opportunità di guidare le fasi d’integrazione delle due economie coreane; integrazione che sicuramente non si presta alle tecniche di apertura forzata e privatizzazione utilizzate nei paesi europei orientali all’indomani della caduta dell’Unione sovietica. Con ogni probabilità, l’approccio di Washington sarà graduale, più simile a quello assunto in Cina, dove le grandi banche d’affari di Wall Street hanno mediato la realizzazione dell’attuale potenza economica di cui gode Pechino (la creazione di China Mobile, scritta da Goldman Sachs, è solo un esempio).

In ogni caso, l’idea della spartizione delle ricchezze accumulate dal Sud con il Nord, non solo sarà in parte inevitabile, ma Seoul avrà tutto da guadagnare. Primo perché le grandi imprese sudcoreane avranno un territorio d’espansione perfetto e invidiabile sotto ogni punto di vista; secondo, se si confrontano le piramidi della popolazione delle due Coree si comprende facilmente che l’invecchiamento della popolazione del Sud (in totale supera di poco i 50 milioni di abitanti) collima perfettamente con la giovane età del popolo settentrionale (poco più di 25 milioni). L’integrazione ha il potere di risolvere i problemi che attendono il Sud e dare una spinta positiva all’economia in generale. La scelta di Trump di aprire un dialogo con Kim rappresenta un cambiamento storico della strategia Usa in Estremo Oriente, che darà vita a una serie di dinamiche e sprigionerà forze che la stessa Washington sarà costretta in parte a gestire.

– Newsletter Transatlantico N. 22-2018

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