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L’autista di Uber

January 29, 2018

Economia, Notizie

(free) – di Andrew Spannaus –

E’ iniziata una nuova fase di euforia per le condizioni economiche positive negli Stati Uniti. Il volo delle borse (Dow Jones +25%, Nasdaq + 28% nel 2017) e il basso tasso di disoccupazione (4,1%) spingono giornalisti e analisti a meravigliarsi della forza dell’economia americana, dopo tutte le difficoltà degli ultimi anni.

Per i sostenitori di Donald Trump si tratta della conferma che le politiche pro-business del presidente sono quelle giuste; per gli oppositori, il merito va a Barack Obama e Janet Yellen, che hanno dato il via a questo periodo di espansione. Chi non ha dimenticato le elezioni del 2016, invece, è portato a consigliare prudenza, perché sarebbe miope e pericoloso pensare che i problemi che hanno portato alla rivolta degli elettori negli Usa (e anche in quasi tutta l’Europa) siano stati risolti grazie ai fattori citati sopra. La borsa premia principalmente la parte alta della società, e l’occupazione continua ad essere precaria, con una crescita dei salari ancora molto debole in termini reali.

Oggettivamente le responsabilità, e anche le colpe, dell’attuale presidente per la situazione economica sono limitate. Si può senz’altro dire che le previsioni di disastro pronunciate da chi ha paura delle ricette promosse da Trump non si sono avverate. Ci sono alcuni segnali di nuovi investimenti produttivi nel paese, grazie alla moral suasion della Casa Bianca e agli effetti futuri della riforma fiscale appena varata, che mira proprio a riportare liquidità nel paese a favore dell’economia industriale.

Ci vorrà tempo per valutare l’efficacia della nuova politica però, e per ora il fattore principale che ha portato all’elezione di Donald Trump è ancora ben presente: le disuguaglianze create da anni di globalizzazione e liberismo finanziario. Come ha scritto il giornalista Zach Carter pochi giorni fa: “La disuguaglianza rimane vicina ai livelli record, un disastro continuo che non si riflette nelle statistiche monetarie – l’aspettativa di vita americana si è ridotta per due anni consecutivi. I nostri ponti crollano, i nostri aeroporti sono soggetti a blackout, i nostri treni deragliano – anche se abbiamo sia i mezzi finanziari sia il know-how tecnologico per prevenire tutti questi disastri”.

Un esempio utile dei due modi di vedere la dinamicità dell’economia americana è quello dell’autista di Uber. Chi usa Uber per spostarsi può trovarlo un servizio moderno e efficiente; però chi guida per arrotondare lo stipendio, o peggio ancora come lavoro principale, si trova in una situazione non facile. Infatti secondo analisi indipendenti, i guadagni orari medi di un’autista Uber sono vicini o anche sotto il livello del salario minimo. Naturalmente le cifre variano da città a città – sono più alte a New York, come lo è anche il costo della vita – ma a leggere quanto dichiarano i diretti interessati, i guadagni promessi dalla società sono decisamente più ottimisti della realtà.

Inoltre, lavorare come autonomo in questo caso significa non solo sobbarcarsi tutti i costi e i rischi dell’attività, ma anche pagare più tasse (perché manca la quota del datore di lavoro) e bisogna pure acquistare la propria assistenza sanitaria. Anche la bellezza della flessibilità sembra un po’ sopravvalutata; quanti accetterebbero un posto fisso se fosse pagato decentemente, piuttosto che cercare di guadagnare con la “gig economy” (l’economia dei lavoretti) come ormai viene definita?

Un vantaggio di guadagnare così poco c’è: essendo vicino alla soglia della povertà si potrà accedere all’assistenza sanitaria gratuita del Medicaid, o ricevere i sussidi dell’Obamacare.

Gli effetti dello spostamento dei costi sui lavoratori, fenomeno che va ben oltre i servizi come Uber, continua ad affliggere l’economia americana. E’ giusto incoraggiare nuovi investimenti produttivi per innalzare la qualità del lavoro, ma la strada verso la crescita diffusa sarà comunque lunga, e si farà bene ad evitare trionfalismi superficiali.

– Newsletter Transatlantico N. 3-2018

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