(free) – di Andrew Spannaus –
Agli inizi di ottobre la Corte Suprema americana considererà un caso molto importante per il futuro della politica americana, quello di come vengono disegnati i collegi elettorali. Secondo il giudice Ruth Bader Ginsburg si tratta forse del caso “più importante” iscritto a ruolo quest’anno, in quanto finora la Corte non ha mai definito i limiti della pratica del “gerrymandering”, cioè di aggiustare i confini dei collegi per aumentare il peso di un partito, e diminuire quello del proprio avversario.
La pratica risale al 1812, quando l’allora governatore del Massachusetts – e successivamente vicepresidente degli Stati Uniti nell’Amministrazione di James Madison – fece approvare dal Parlamento statale una riorganizzazione dei distretti elettorali che concentrasse il voto federalista in poche zone, diluendo così il suo peso a livello complessivo. Il nuovo collegio assomigliava ad una sorta di salamandra, portando all’etichetta di Gerry-mandering, che è sopravvissuta fino ad oggi.
Negli anni entrambi i partiti hanno approfittato della possibilità di aggiustare i confini elettorali a proprio vantaggio quando controllano il governo di uno stato. Si tratta di un’arma formidabile, perché la vittoria su temi locali permette poi di influenzare la politica nazionale di riflesso, con un peso sproporzionato.
In questo momento sono i repubblicani ad aver decisamente la meglio su questo fronte, avendo guadagnato il controllo di molti stati negli ultimi anni. In alcuni casi hanno esagerato però, portando a situazioni in cui sono riusciti addirittura a trasformare una minoranza dei voti in una maggioranza schiacciante dei seggi. E’ il caso del Wisconsin, che sarà valutato dalla Corte ad ottobre. Nel 2012, per esempio, hanno vinto il 48,6% dei voti nello stato, ma sono prevalsi in 60 dei 99 distretti elettorali.
Già un Tribunale federale ha deciso che la mappa elettorale creata dai repubblicani ha violato la Costituzione. Se la Corte Suprema dovesse confermare la decisione e definire chiaramente i limiti di questa pratica, si potrebbe tornare ad una rappresentanza più razionale delle preferenze politiche negli Stati Uniti. Nel medio termine, questo significherebbe rimuovere la presa strettissima che hanno i repubblicani sulla Camera dei Rappresentanti, e riaprire il gioco degli equilibri a Washington. Infatti si sono visti risultati sorprendenti a livello nazionale negli anni scorsi. Nel 2012 i repubblicani presero meno voti dei democratici per la Camera (47,6-48,8) ma uscirono con 33 seggi in più (234-201), grazie all’utilizzo efficace della pratica del gerrymandering. Nelle ultime due elezioni invece, i repubblicani hanno prevalso anche nel voto popolare.
– Newsletter Transatlantico N. 33-2017
July 26, 2017
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