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I dazi punitivi sui prodotti europei

April 11, 2017

Economia

(free) – di Andrew Spannaus –

L’annuncio di potenziali dazi punitivi da parte degli Stati Uniti su una serie di beni europei, compresi prodotti italiani di prestigio come la Vespa e la San Pellegrino, ha scatenato la prevedibile isteria sul protezionismo di Trump. Occorre invece guardare la situazione con un po’ di distacco, per capire l’origine della situazione attuale, e come si potrebbe sviluppare la nuova politica commerciale degli Stati Uniti.

Le misure ventilate la scorsa settimana non sono nuove; anzi, erano state minacciate già dal rappresentante commerciale dell’Amministrazione Obama Jason Furman nel dicembre del 2016, in risposta al fallimento delle trattative per il nuovo accordo tra gli Usa e l’Europa, il TTIP. Allora si pianificò un’audizione pubblica per discutere l’imposizione di imposte del 100% su una serie di prodotti europei.

Il tutto nasce dalla disputa sulla carne prodotta con gli ormoni per la crescita, bloccata dall’Europa e oggetto di una controversia di fronte all’Organizzazione Mondiale del Commercio iniziata nel 1996. L’anno successivo, l’Omc autorizzò gli Stati Uniti ad imporre i dazi punitivi per compensare le perdite subite a causa del divieto europeo alla commercializzazione. Nel 2009 invece, si raggiunse un accordo per l’importazione di una quantità limitata di carne senza ormoni (50.000 tonnellate) ma secondo gli americani quella quota viene principalmente dall’Argentina e dall’Uruguay, sostanzialmente tagliando fuori gli Stati Uniti.

E’ più che comprensibile da parte degli europei lamentarsi per misure che 1. potrebbero danneggiare i loro prodotti di eccellenza, e 2. sono in risposta ad una politica – quella del divieto all’utilizzo di certi tipi di ormoni – che dovrebbe tutelare la salute pubblica. A questo punto però, occorre ridefinire le idee in merito al protezionismo. Se l’Unione europea invoca il diritto di regolamentare il commercio a beneficio dei cittadini degli Stati membri, come fa in vari campi, si capisce che non esiste un diritto assoluto al libero scambio, che invece viene temperato da altri fattori.

Le considerazioni più importanti in questo momento – secondo il parere di chi scrive – sono quelle delle normative sul lavoro e sull’ambiente (cioè l’inquinamento) che non vengono rispettate da paesi dove viene localizzata la produzione low-cost. Come scritto nell’analisi ”Dopo il Tpp: verso una nuova politica commerciale” del 19 febbraio 2017, gli accordi commerciali esistenti riconoscono questo problema, ma nella pratica non prevedono alcuna conseguenza per pratiche che danneggiano tutti tranne i pochi grandi che portano a casa i profitti.

E’ ovvio che mettere un dazio sull’acqua San Pellegrino non risponde alla necessità di cambiare questo sistema, e recherebbe un danno sicuramente da evitare. E’ anche ovvio che bisogna incentivare la qualità, non penalizzarla. I dazi proposti dagli Usa finiranno per essere oggetto di una nuova trattativa, nella quale si auspica che il dibattito sul protezionismo venga impostato in questo modo, cioè su come tutelare e migliorare il tenore di vita nei paesi occidentali, e promuovere uno scambio libero ma basato sulla qualità, e non su una corsa verso il basso, garantendo così anche un sistema produttivo più corretto.

– Newsletter Transatlantico N. 18-2017

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