– analisi di Andrew Spannaus –
Da quando è diventato evidente che Donald Trump potrebbe vincere le primarie repubblicane, sono cominciate ad affiorare le ipotesi di candidati indipendenti o di partiti minori che potrebbero rappresentare alternative all’outsider sul lato repubblicano. In buona parte si è trattato di scenari poco realistici, che infatti non sono andati in porto. Oggi rimane la candidatura del partito libertario come quello più in grado di attrarre voti dei conservatori non convinti da Trump.
Nei primi mesi del 2016 si è parlato molto di una possibile candidatura indipendente di Michael Bloomberg, ex sindaco di New York e miliardario in grado di autofinanziarsi, che permetterebbe di superare le difficoltà iniziali di creare e finanziare una struttura politica nazionale. Bloomberg si presenta come centrista, in grado di coalizzare un sostegno bipartisan e affrontare i problemi del paese in modo ragionevole, in contrasto con gli elementi cosiddetti estremi che hanno attratto gli elettori in entrambi i grandi partiti quest’anno. Con la candidatura Bloomberg c’erano due ordini di problemi. In termini pratici la divisione dei voti tra tre candidati poteva creare una situazione di stallo, vanificando il voto degli elettori e rimettendo la decisione finale alla Camera dei Rappresentanti, come ha ammesso Bloomberg stesso quando ha annunciato la sua decisione di non candidarsi.
Il problema più grande invece era sul lato dei contenuti: il miliardario centrista ribadiva il suo sostegno per gli accordi commerciali, per i tagli al bilancio e per la riduzione dello stato sociale; tutto il contrario di quello che chiede l’elettorato quest’anno. Per questi motivi non c’è mai stata una strada plausibile per Bloomberg verso la Casa Bianca, a prescindere dalla forza di ambizione che può avere un personaggio del suo livello.
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June 1, 2016
Politica