(free) – di Andrew Spannaus –
Nelle primarie americane emerge una forte richiesta dell’elettorato per un cambiamento della politica estera, da parte sia democratica che repubblicana. I candidati outsider come Trump e Sanders criticano la modalità della guerra continua, perseguita dall’establishment di entrambi i partiti.
Tuttavia, nonostante la svolta verso la diplomazia dell’Amministrazione Obama, che si sta concretizzando nell’accordo con l’Iran, nell’apertura a Cuba e nella collaborazione con la Russia sulla Siria, la front-runner democratica Hillary Clinton non sembra intenzionata ad andare in questa direzione; anzi, raddoppia sulla politica di cambiamento di regime spinta dai neocon e dagli interventisti di sinistra.
Due esempi recenti di questo orientamento fanno capire il posizionamento di Clinton in politica estera.
Il primo sono le affermazioni di Clinton in merito ad Israele. Mentre Barack Obama e Benjamin Netanyahu hanno un rapporto molto difficile, Hillary promette sostegno incondizionato alla destra israeliana. Nel suo recente discorso all’associazione AIPAC a Washington, ha voluto rimarcare la distanza dal presidente attuale: “Una delle prime cose che farò [quando sarò presidente] è invitare il Primo ministro israeliano alla Casa Bianca”.
Nell’ultimo dibattito tra i candidati democratici invece, tenutosi a New York il 14 aprile, è avvenuto il seguente scambio tra Bernie Sanders e Hillary Clinton, che fa capire la dissidenza della seconda rispetto al cambiamento di impostazione seguito dal presidente e dal Segretario di Stato John Kerry.
Sanders: So che continui a citare Barack Obama questa sera, ma per quanto riguarda la Siria hai parlato di una zona di interdizione aerea, che di certo il presidente non appoggia, e io non appoggio; perché 1. avrà un costo enorme, e 2. rischia di tirarci in una guerra perpetua nella regione.
Clinton: Penso che il Senatore Sanders abbia sottolineato proprio il punto che volevo enfatizzare io. Sì, quando ero Segretario di Stato io, insieme al Dipartimento della Difesa e alla Cia, ho insistito sulla necessità di identificare, vagliare, addestrare ed armare personaggi dell’opposizione siriana per permetterli di difendersi contro Assad. Il presidente ha detto di no. Funziona così. Le persone che lavorano per il presidente fanno delle raccomandazioni e poi il presidente decide.
Penso che sia giusto guardare dove siamo in Siria oggi. Io sono a favore di una no-fly zone perché penso che dobbiamo creare delle aree sicure per quei poveri siriani che scappano da Assad e dall’Isis, per avere qualche posto dove stare sicuri.
Nessuno si è opposto ad Assad, o l’ha rimosso, e così abbiamo un disastro ben più grave oggi in Siria rispetto a quello che dobbiamo affrontare in Libia.
– Newsletter Transatlantico N. 27-2016
April 22, 2016
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