(free) – di Andrew Spannaus –
La rivincita dei maschi bianchi. Così ci raccontano molti commentatori in questi giorni, storditi e confusi dalla vittoria “a sorpresa” di Donald Trump alle presidenziali Usa.
E’ dall’anno scorso che i media tentano di ridurre il sostegno diffuso per il candidato più outsider di tutti alla rabbia degli uomini bianchi che hanno sì ingoiato il rospo di un presidente afroamericano, ma che non sarebbero disposti a subire anche una presidenza femminile, quella di Hillary Clinton.
Si tratta di una lettura decisamente superficiale. Il razzismo e il sessismo esistono, ovviamente, ma sono lontani dal costituire la base di una vittoria che ha sfiorato il 50% dei votanti. Donald Trump ha parlato alla classe media e lavoratrice, che si sente tagliata fuori dalla globalizzazione finanziaria, responsabile di stagnazione e precarietà per grosse fasce della popolazione.
Ma non si tratta solo di uomini, e nemmeno solo di bianchi. I dati degli exit poll ci dicono che in una serie di categorie, gli assunti degli esperti su come avrebbero votato vari segmenti della popolazione erano errati. Questo aiuta anche a spiegare l’errore significativo dei sondaggi. Se si aspetta un voto schiacciante a favore di Clinton tra le donne, i neri, gli ispanici, e i lavoratori sindacalizzati, e questo non avviene, è chiaro che le previsioni saranno disattese.
Qualche esempio, per sottolineare la solidità della vittoria di Trump.
Le donne (bianche) hanno votato al 53% per Donald Trump. Così il fattore femminile, la principale arma in positivo di Hillary Clinton, è stata spuntata. Evidentemente nemmeno il comportamento scurrile di Trump basta per mettere in secondo piano la volontà di mandare un messaggio all’élite politica e finanziaria.
Tra gli ispanici, o Latinos, Clinton ha vinto 64% al 34%; una maggioranza significativa, ma non proprio schiacciante, come si poteva aspettare visti gli attacchi di Trump agli immigrati. Questo è stato un fattore chiave nel limitare l’effetto atteso della grande affluenza degli ispanici in stati come la Florida.
Gli afroamericani invece, hanno sì sostenuto la candidata democratica, ma ad un livello minore rispetto al margine di Barack Obama 4 anni fa (88 rispetto al 93 nel 2012).
Oltre a quello delle donne, il dato forse più significativo è quello degli operai (uomini e donne) che sono iscritti ai sindacati. Qui gli exit poll indicano una maggioranza per Trump, seppur variabile in base alla fonte della rilevazione. Si va da +1 a +16 per cento, comunque un margine importante in quanto i vertici dei grandi sindacati da sempre si posizionano saldamente nella colonna democratica.
Il risultato sottolinea la forza di Trump nelle zone più colpite dalla perdita del lavoro industriale, il punto centrale della sua campagna elettorale. Ed è pure interessante notare che questioni di razza non c’entrano. Oltre alla notevole vittoria di Trump in stati del nord industriale come il Michigan e il Wisconsin, tutt’altro che impregnati dalla vecchia ideologia dei sudisti, notiamo che il dato è stato comunque inferiore al sostegno dato a Barack Obama (+18) quattro anni fa.
Questi dati dimostrano che il messaggio anti-establishment di Trump ha attecchito in molte parti dell’elettorato. Invece di ripetere lo stesso errore di attribuire il sostegno di Trump principalmente ad elettori razzisti e sessisti, sarebbe il momento di riflettere sulla sostanza che sta sotto a questo voto a favore del cambiamento.
– Newsletter Transatlantico N. 75-2016
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