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Balcani - Copertina

L’importanza dei Balcani

October 15, 2015

Interventi, Politica

(VIDEO) –

Presentazione del libro

Balcani. Dal conflitto alle prospettive di integrazione europea

A cura di Daniele Cellamare

Antonio Stango Editore

 

– Introduzione

Video della conferenza di presentazione del 9 ottobre

– Intervento di Andrew Spannaus

Perché i Balcani?

di Paolo Balmas

Conoscere i Balcani non permette solo di comprendere più a fondo la storia contemporanea e il passaggio da quello che è stato definito il “secolo breve” al secolo attuale. Nella storia recente dei Balcani è racchiusa la vicenda della Nato, dell’Unione Europea e dell’Euro. Ma non solo. L’attuale scenario della grande penisola, dalla quale ci separa il breve tratto adriatico del Mediterraneo, offre uno spaccato delle dinamiche internazionali che caratterizzano il mondo di oggi. I Balcani, infatti, continuano a essere una terra di frontiera, il luogo sul quale le grandi potenze si incontrano, si affrontano e si oppongono. L’Unione Europea, la Nato, Gli Stati Uniti d’America, la Federazione russa, la Repubblica Popolare cinese sono presenti e condizionano la vita di milioni di persone che avvertono ancora il peso delle guerre civili vive nei ricordi di più generazioni, e secondo alcuni ancora inconcluse. Mentre cristiani, musulmani e ortodossi cercano una via per la convivenza pacifica, i Balcani continuano a essere il crocevia che unisce l’Oriente all’Occidente e mantengono quel ruolo strategico che ha contribuito a plasmare la storia degli ultimi decenni.

In nove saggi racchiusi nel libro Balcani. Dal conflitto alle prospettive di integrazione europea, curato da Daniele Cellamare (Sapienza – Università di Roma), edito da Antonio Stango Editore (Arezzo), si ripercorre la storia recente e si offre un’istantanea delle condizioni attuali dei Balcani da punti di vista diversi e originali.

Il testo si apre con una riflessione di Gerardo Fortuna sulla percezione geografica della regione balcanica. Ripensare i Balcani permette di prendere coscienza di una regione e di un nome che spesso sono interpretati o percepiti in modo assai diverso in base all’ambiente o al paese in cui ci si trova. Con Balcani ci si riferisce ai paesi dell’ex Iugoslavia. Ma è anche vero che lo stesso nome indica l’intera penisola che si estende dall’Adriatico al Mar Nero e giunge nel cuore del Mediterraneo con le coste greche. L’incertezza è dovuta a vari fattori. Innanzitutto al fatto che i Balcani sono una catena montuosa e non tutti i popoli che vivono sulla penisola si identificano spontaneamente con essi. Inoltre, si comprende che il nome Balcani ha ottenuto successo soprattutto fra gli osservatori esterni.

Il testo prosegue con due saggi che esplorano gli aspetti antropologici fondamentali per comprendere la complessità culturale della regione. Il primo, firmato da Federica De Paola, approfondisce l’aspetto religioso e le peculiarità che assumono le varie fedi sul territorio. Insieme alle grandi religioni, sono analizzate in questo capitolo le minoranze che offrono una finestra su un passato lontanissimo e dimostrano la ricchezza del patrimonio spirituale dei Balcani.  Il secondo, di Fabrizia Cesarini, descrive invece la popolazione da un punto di vista etnico, ne analizza la distribuzione sul territorio e ne soppesa il ruolo politico che assume nei vari stati.

Nima Baheli ha scritto il quarto saggio, “Balcani in armi”, un percorso storico delle vicende tragiche relative alle guerre civili che si sono susseguite negli ultimi decenni. Il resoconto offre al lettore alcuni avvenimenti meno noti che hanno segnato la storia delle relazioni internazionali dei paesi nascenti dalla fine della Federazione iugoslava, in particolare con l’Italia.

A trattare la singolarità e lo splendore culturale di Sarajevo è Chiara Colocci in “La Gerusalemme dei Balcani”. La città è presentata come un esempio storico di libera convivenza delle fedi monoteiste mediterranee.

Il percorso di eventi che ha portato alla nascita del Kosovo, invece, è tracciato da Filippo Maria Bonci. Il piccolo paese, il più nuovo fra quelli sorti in Europa e ancora non riconosciuto da tutti gli stati, ha avuto una nascita travagliata descritta con meticolosità.

I Balcani rappresentano la naturale frontiera dell’Unione Europea e della Nato. Ilaria De Napoli nel suo saggio “La politica euro-atlantica” descrive i rapporti dei singoli paesi con le istituzioni europee e lo stato attuale dei processi di assorbimento in cui sono coinvolti gli stati balcanici.

Proprio come territorio di frontiera fra Oriente e Occidente, come ultimo passaggio prima di entrare nel mercato europeo, i Balcani sono un crocevia di traffici, anche illeciti. Di questo si occupa Elisa Del Greco nel suo saggio in cui ripercorre le direttrici lungo le quali vengono spostate armi, droga, persone.

Il libro si conclude con la “Industria militare” di Paolo Balmas. Nell’ultimo saggio è descritto il settore bellico dei singoli paesi della regione. L’interesse si sofferma su più fattori: il ruolo della produzione di armamenti nei processi di integrazione; il rapporto fra i caratteri etnico-religiosi della popolazione e la dislocazione di impianti industriali; la presenza di imponenti arsenali come eredità delle recenti guerre civili.

Lo spirito del libro è racchiuso nell’immagine di copertina. L’illustrazione risale al 1913, dopo la conclusione della Prima Guerra Balcanica. Fu realizzata da Achille Beltrame per “La Domenica del Corriere” del 11-18 maggio. Sono raffigurati l’imperatore dell’Austria-Ungheria Francesco Giuseppe, il ministro degli Esteri dell’Impero Leopold Berchtold e l’arciduca ereditario Francesco Ferdinando (che sarebbe stato assassinato il successivo 28 giugno 1914 a Sarajevo). I tre sono impegnati nella discussione sulla possibile occupazione del Montenegro.

A un anno di distanza da quell’episodio scoppiava la Prima Guerra mondiale. Da allora il mondo è cambiato. La sovrastruttura della penisola balcanica è mutata varie volte. Ma la sua natura giace immutata a pochi chilometri da noi: è una terra di frontiera, un crocevia dove si incontrano popoli, culture, religioni e idee. Chiaramente, la vicenda dei Balcani non è conclusa, né giunta a un periodo di sicura stabilità.

La speranza è che le prospettive di integrazione si impongano di fronte al grande gioco delle potenze che gettano la propria ombra sui Balcani e ne plasmano il futuro attraverso scelte e manovre politiche di dubbia e incerta natura.

L’Indice:

  1. Ripensare i Balcani. La percezione identitaria tra costruzione diplomatica e complessità politiche (Gerardo Fortuna)
  2. La via dei monasteri (Federica De Paola)
  3. Le strade dei popoli (Fabrizia Cesarini)
  4. Balcani in armi (Nima Baheli)
  5. La Gerusalemme dei Balcani (Chiara Colocci)
  6. Un nuovo stato: il Kosovo (Filippo Maria Bonci)
  7. La politica euro-atlantica (Ilaria De Napoli)
  8. I traffici illeciti (Elisa Del Greco)
  9. L’industria militare (Paolo Balmas)

Link al Video della conferenza di presentazione del libro

Campidoglio, Roma – 9 ottobre 2015

Intervento di Andrew Spannaus

Ho un amico – un politico – che quando parliamo della Grecia, o di altre questioni dell’area balcanica, ripete sempre l’osservazione di Churchill: i Balcani producono più storia di quanto possano consumare, e dunque la esportano.

Non sono un grandissimo fan di Churchill – da americano trovo problematica la sua difesa degli imperi coloniali, avversata anche da Roosevelt – ma dobbiamo sicuramente riconoscere che i Balcani sono un crocevia della storia, un punto nevralgico in cui avvengono eventi che hanno implicazioni per la geopolitica mondiale.

Quello più ovvio è del 1914, che riflette una realtà ricorrente anche ai nostri tempi: l’importanza di una zona “molle”, che si trova in uno stato di flusso in alcuni periodi della storia, e che le grandi potenze cercano di sfruttare per allargare la propria sfera di influenza.

Questo tema lo troviamo in apertura del libro, nel saggio di Gerardo Fortuna, quando scrive che “quasi tutti i popoli nei Balcani hanno visto il susseguirsi di grandiose aspirazioni di espansione territoriale” e che in modo particolare nell’ultimo secolo “i popoli della regione [sono] rientrati nel gioco delle grandi potenze”.

Un esempio evidente è quello del Secondo dopoguerra, ma se arriviamo ai tempi nostri gli attori sono più o meno gli stessi. Da parte nostra c’è la Nato, l’alleanza occidentale, dall’altra parte c’è la Russia. E c’è anche la Cina, che nel suo modo più soft cerca di espandersi.

Vorrei ricordare brevemente alcuni aspetti importanti – per il mondo – che sono avvenuti recentemente nell’area.

Per primo, le guerre degli anni ’90. Dopo un periodo di relativa stabilità, esplode di nuovo il gioco delle grandi potenze. In modo particolare i Balcani sono il teatro di due eventi bellici molto importanti nei rapporti Est-Ovest degli ultimi anni. I bombardamenti della Serbia nel ’95 in merito alla Bosnia, e nel ’99 per difendere il Kosovo.

Per arrivarci ricordiamo le spinte contrastanti all’inizio di questo processo, tra gli attori occidentali.

La Germania in modo particolare, insieme all’Austria e al Vaticano, sostiene la secessione della Slovenia e della Croazia. Dapprima non trova l’appoggio delle altre nazioni occidentali, che temono di stabilire un precedente e così di alimentare le spinte separatiste. Ma dopo poco tempo l’Europa si mette dalla parte di Slovenia e Croazia, affermando il diritto di libera determinazione dei popoli. E’ un passaggio importante, che alla fine porta agli interventi militari, e che riguarda anche oggi.

Si passa dalla preoccupazione per la destabilizzazione e per il rispetto della sovranità nazionale in base al diritto internazionale… all’autodeterminazione e all’ingerenza umanitaria.

Quali furono le preoccupazioni in merito alla mossa della Germania?

Caduta l’Unione Sovietica, nel mezzo del processo di riunificazione tedesca, la Germania prende un’iniziativa forte di politica estera, per tornare a contare nei Balcani.

A me ricorda i fatti della ferrovia Berlino-Baghdad dell’inizio del ‘900. La potenza industriale tedesca che aveva progetti per portare lo sviluppo economico nei Balcani e fino al Medio Oriente, sfidando il controllo britannico del commercio nella regione.

Si temeva di perdere il controllo sulla Turchia, la Persia, la Mesopotamia. Questo contrasto fu al centro della questione chiave della Prima Guerra mondiale, e della geopolitica in generale come definita proprio in quel periodo: la necessità di evitare un’alleanza tra le potenze europee continentali, guidata dalla forza economica della Germania.

Questa paura ritorna nel 1990. Parte la campagna contro il “Quarto Reich”, la paura che la Germania riunificata avrebbe dominato l’Europa.

Il “problema tedesco” viene gestito con due cambiamenti, entrambi molto significativi per il mondo oggi:

– il primo è l’intervento militare occidentale, guidato non dalla Germania ma dagli Usa e dalle altre potenze principali della Nato

– il secondo è l’Euro.

L’intervento militare inizia con la grande operazione di peacekeeping dell’ONU. Poi gli eventi (e gli interventi dei vari attori esterni) portano al primo bombardamento dei serbi, in modo particolare dopo il massacro di Srbrenica.

Il secondo intervento è quello del ’99 nel Kosovo.

Senza entrare nei dettagli – tutti possono leggere il libro che sembra molto interessante anche su questo punto – mi preme citare la portata strategica di questi interventi.

Intanto sono stati i primi interventi della Nato in Europa. E l’intervento del ’99 è avvenuto senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Si tratta del compimento dell’obiettivo di certi settori nell’Occidente dopo il crollo dell’Urss: come espresso dalla Rand Corporation nel 1993, la Nato doveva andare “out of area or out of business”. Cioè per mantenere la propria importanza la Nato doveva espandersi oltre ai suoi confini superando il ruolo di alleanza difensiva.

E poi c’è il concetto dell’intervento umanitario espresso da Tony Blair. Per il premier britannico la questione fondamentale era “se la comunità internazionale ha il diritto di intervenire militarmente in un paese per motivi umanitari”. (discorso Chicago ‘99)

Questo è precisamente ciò che è successo nel ’99, appunto senza l’avallo delle Nazioni Unite.

Per quanto riguarda il ruolo di Blair, è da notare che se all’inizio del conflitto jugoslavo i britannici sembravano poco inclini ad intervenire, entro la fine del decennio avevano abbracciato decisamente la nuova strategia dell’Occidente, facendo degli interventi nell’ex Jugoslavia l’esempio di una nuova era, la fine del Trattato di Westfalia.

Il nome attuale di questa strategia è il Diritto di Proteggere – Right to Protect.

E’ la versione di sinistra della strategia dei neoconservatori, chiamata più apertamente il cambiamento di regime.

Il R2P invece interviene per motivi umanitari, come in Libia, e come si chiede di fare in Siria.

Solo negli ultimi due anni sembra esserci una presa di coscienza – almeno in una parte dell’Amministrazione Usa – delle conseguenze di questa strategia.

Poi c’è la seconda “soluzione” al problema della Germania: l’Euro.

L’impostazione dell’economia europea viene cambiata per tenere a freno la Germania. (C’è chi direbbe che non ha funzionato molto…)

L’Ue diventa costrutto politico, non economico. Si produce una politica economica con effetti negativi per i paesi membri nel nome di mantenere il fronte unito e di evitare fuoriuscite dalla linea dominante nell’area transatlantica.

Cioè insieme l’Unione Europea e la Nato rappresentano l’espansione della nostra area di influenza. Infatti vari paesi balcanici sono entrati successivamente in entrambe le associazioni

Altri sono sulla strada, sperando di entrarci.

E qui arriviamo a un altro paradosso, un altro punto chiave per l’Europa oggi.

Se guardiamo lo stato dell’economia europea, e le regole che gli stati europei devono seguire in tema di bilancio, di concorrenza, ecc. sorprende che uno vorrebbe entrarci.

Chi è fuori pensa di diventare ricco entrando in Europa; chi è dentro dà la colpa all’Europa per la propria crisi economica.

Rinforza quello che dicevo prima, che l’Europa è un concetto politico. E’ un’istituzione dell’Occidente, con forti connotazioni strategiche.

Basti pensare all’energia, per esempio al gasdotto South Stream, che doveva passare per la Serbia e la Bulgaria. Dopo l’aumento delle tensioni con la Russia l’Ue ha essenzialmente costretto la Bulgaria a bloccare il progetto in chiave anti-russa.

Oppure si può considerare come si è svolto il dramma greco quest’anno.

Nel momento più caldo dei negoziati con la Troika Tsipras andò a Mosca e fece capire di aver compreso appieno la posta in gioco:

Nell’annunciare potenziali accordi economici con la Russia disse che “non c’è solo l’Europa”. Parlò dei Brics, della nuova dinamica di paesi che si stanno organizzando con le proprie istituzioni economiche (e anche di sicurezza) che pone una grande sfida all’Occidente.

Intanto i cinesi stanno investendo molto nelle infrastrutture in Grecia. Poi Tsipras giocò la carta Putin, ma evidentemente stava bluffando, o le pressioni erano troppe, perché alla fine si piegò alle richieste della Troika.

E questo mi porta all’ultimo punto che vorrei toccare.

Come detto all’inizio, i paesi dei Balcani si trovano di nuovo nel gioco delle grandi potenze. L’Occidente – attraverso l’UE e la Nato – si sta espandendo in questa zona. Ma come spesso succede nei giochi strategici ci sono dei danni collaterali; oppure – possiamo dire – si utilizzano delle tattiche che rischiano di diventare controproducenti.

Il caso più ovvio è quello del terrorismo. Abbiamo cominciato con i mujaheddin in Afghanistan per indebolire l’ex-Unione Sovietica, e 30 anni dopo ci troviamo con lo Stato Islamico.

Per qualcuno Al-Qaeda è ancora un alleato – meglio Al Qaeda/al-Nusrah che l’Iran o Putin, si dice – ma io vedo la possibilità di un cambiamento di rotta nel prossimo periodo, iniziato con l’accordo con l’Iran e che potrebbe fare passi in avanti attraverso una collaborazione di fatto tra le grandi potenze nella crisi siriana.

Qui torniamo ai Balcani più direttamente, ad un tema trattato negli ultimi due saggi nel libro, quelli di Elisa Del Greco e di Paolo Balmas.

Nel 1993 fu fondata l’organizzazione di beneficenza Saudi High Commission for Relief for Bosnia and Herzigovina. I sauditi aiutavano i loro fratelli musulmani, ma in essenza cercavano di utilizzare il conflitto in Bosnia per espandere la Jihad. (Non mi risulta però che i musulmani bosniaci si fecero coinvolgere su grande scala in questo progetto)

Comunque quando nel settembre 2001 le forze della Nato entrarono negli uffici dell’Alta Commissione Saudita a Sarajevo trovarono materiali che riguardavano gli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti: le torri gemelle, le ambasciate Usa in Kenia e Tanzania, mappe di palazzi governativi a Washington. E si scoprì che alcuni impiegati di questa organizzazione erano in contatto con dirigenti di Al Qaeda, compreso Osama bin Laden stesso.

Negli ultimi anni invece, dal 2012, sembra che la Croazia abbia avuto un ruolo importante come punto di passaggio per le armi da inviare all’opposizione in Siria. Con il coinvolgimento di Arabia Saudita, Turchia, Qatar.

Dunque ancora una volta nel nome di un obiettivo strategico – quello che forse risulterà essere il colpo di coda del cambiamento di regime nel Medio Oriente – ci troviamo a promuovere operazioni che potrebbero ritorcersi contro di noi (oppure lo stanno già facendo).

A mio avviso la soluzione migliore per risolvere, o almeno per limitare, questi errori, è di spostarci verso un nuovo concetto, basato sulla costruzione della forza strategica attraverso la collaborazione economica. I Balcani potrebbero essere un buon luogo per cominciare, promuovendo dei progetti di sviluppo a favore della regione stessa, e non semplicemente nell’ottica della competizione tra le grandi potenze.

– Newsletter Transatlantico N. 75-2015

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