Mentre in Europa la recessione continua a mordere, negli Stati Uniti la ripresa è pienamente in atto – o almeno così si dice, tant’è che si sprecano gli appelli a seguire il modello americano per far ripartire l’Europa. La proposta più comune è quella di emulare la Federal Reserve, che avrebbe utilizzato il suo potere di prestatore di ultima istanza per garantire la liquidità all’economia e così far ripartire gli investimenti. Si osanna la banca centrale americana come il collante che tiene insieme la nazione, esempio per i futuri Stati Uniti d’Europa che devono garantire il debito pubblico e intervenire sui mercati finanziari in modo efficace.
Ci sarebbero numerose critiche da muovere a questa versione degli eventi, a partire dal ruolo delle banche centrali nel fornire liquidità soprattutto al settore finanziario, alimentando gli stessi meccanismi speculativi che hanno provocato una lunga serie di bolle sui mercati a partire dalla fine degli anni ’80, con il culmine nel 2007-2008. Corollario di questa politica impostata inizialmente da Alan Greenspan è stata la deregulation finanziaria, che ha sancito la sepoltura del vecchio ordine con l’abrogazione della legge Glass-Steagall nel 1999, sistema che fino alla sua progressiva erosione aveva grosso modo tenuto separate l’economia reale e quella speculativa.
Ma oggi guardiamo ad una statistica chiave della “ripresa”, il tasso di disoccupazione. Dopo l’impennata durante la fase acuta della grande crisi, si è finalmente tornati ad un livello considerato più accettabile, oggi al 6,1%. Presentiamo sotto il grafico per gli ultimi anni fornito dall’Ufficio delle statistiche sul lavoro del governo Usa (Bureau of Labor Statistics – BLS).
Fin qui sembra che vada tutto bene. Eppure basta poco per scoprire che questa cifra ufficiale nasconde in realtà un numero molto grande di persone che vorrebbero lavorare ma che non vengono considerate nelle statistiche per vari motivi. Ormai queste categorie sono abbastanza note: chi lavora poche ore alla settimana perché non riesce a trovare di meglio, e chi non viene contato per nulla perché dopo anni ha perso la speranza e non cerca attivamente ogni settimana. Se si considerano anche queste categorie i numeri lievitano di non poco. Il prossimo grafico indica il tasso ufficiale in basso (linea rossa); il tasso U-5 (linea blu) comprende i lavoratori scoraggiati; e il tasso U-6 (linea verde) incorpora anche quelli che fanno il part-time ma non per scelta loro. Esce un tasso che è praticamente il doppio di quello ufficiale.
grafico: Macrotrends su dati BLS
In ogni caso – si potrebbe ribattere – la tendenza va nella direzione giusta. Sembra incontrovertibile che la situazione sia migliorata in termini relativi, cioè a prescindere dai livelli assoluti che si usano come punto di partenza.
L’ottimismo viene attenuato però quando si considerano altre due statistiche: il tasso di partecipazione alla forza lavoro e il tipo di posti di lavoro che vengono creati dalla ripresa.
Guardiamo prima il Labor market participation rate, cioè quanti cittadini – definiti come coloro di entrambi i sessi con almeno 16 anni di età – vengono considerati come parte della forza lavoro.
Il trend è netto: dopo il costante aumento fino agli anni ’90, dovuto in gran parte all’entrata di molte più donne nel mondo del lavoro, ora si va nell’altra direzione. Infatti oggi il tasso è tornato al 63%, lo stesso livello del 1978. Non si tratta naturalmente di una nuova ricchezza che ha permesso a 8 milioni di persone di stare a casa con lo stesso tenore di vita, ma piuttosto di chi il lavoro non lo trova, e grazie ai metodi innovativi di calcolare le statistiche sull’occupazione viene ridotto il numero di persone considerate come parte della forza lavoro.
Da ultimo guardiamo le categorie dei nuovi posti di lavoro. Si sente molto parlare della grande ripresa del manifatturiero negli Stati Uniti, ma i numeri dicono altro. Il lavoro in questo settore è crollato in modo drammatico durante la crisi, accentuando il calo graduale già in atto nel corso di decenni. E negli anni della cosiddetta ripresa i guadagni sono stati molto piccoli; mancherebbero 2 milioni di posti di lavoro solo per tornare ai livelli di 10 anni fa.
Da dove vengono i nuovi lavori? La crescita più grande si vede in settori come la ristorazione, l’alberghiero e le vendite al dettaglio (retail), tutti settori dove la paga è bassa e la precarietà è alta.
In termini aggregati infatti i salari non sono aumentati; il reddito medio degli americani è oggi più basso che nel 2007.
In conclusione possiamo dire che l’euforia per la ripresa americana è decisamente fuori luogo, a non che ci si accontenti di una società più povera, più precaria e con sempre meno enfasi sull’economia reale. Il punto non è di diminuire l’importanza degli Stati Uniti, paese con una storia ricchissima di progresso sociale e innovazione economica. Ce ne sarebbero tanti di periodi da prendere a modello, a partire dalla prima grande crescita impostata dai padri fondatori come Alexander Hamilton, per poi toccare le politiche di grandi figure come Abramo Lincoln, Franklin Delano Roosevelt e John F. Kennedy. Negli ultimi 40 anni invece si è assistito al dominio crescente dell’economia finanziaria rispetto a quella reale, creando un peggioramento nelle condizioni di vita per una grossa fetta della popolazione.
Gli Usa hanno una popolazione di oltre 310 milioni di individui, quindi se anche solo la metà sta bene si tratta di grandi numeri, ben oltre quelli di un paese come l’Italia o anche la Germania. Ma questo non può offuscare il fatto che occorre un cambiamento di rotta rispetto alle politiche degli ultimi anni, necessità che tra l’altro non sfugge ai cittadini americani che stanno per consegnare un’altra sconfitta al partito di Obama nelle elezioni di medio termine. Agli elettori il miglioramento tanto decantato dai media non risulta. Sarebbe un grave errore per l’Europa imitare una politica che in realtà non sta funzionando.
Si ringrazia ExpliStats per i grafici. Si possono visualizzare questi e altri sul sito www.explistats.com
Accedi a tutte le notizie
October 29, 2014
Economia