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Italia base di lancio per le operazioni militari? (articolo intero)

October 7, 2013

Strategia

Transatlantico aggiornamento n. 12-2013

Italia base di lancio per le operazioni militari?

In queste settimane sono in atto dei tentativi di evitare nuovi interventi militari in Medio Oriente, in modo particolare in Siria e in Iran. Dopo l’iniziale accelerata di Obama verso un attacco alla Siria, grazie anche alla pressioni interne di numerosi senatori e dei vertici delle forze armate – seppur in modo pacato – il presidente americano ha prima deciso di chiedere un voto del Congresso, e poi accettato la mediazione di Vladimir Putin che ha portato all’accordo per la distruzione delle armi chimiche di Damasco.

Questo cambiamento di rotta ha contribuito anche alle nuove aperture nei rapporti con l’Iran: dopo la visita del presidente Rouhani negli USA e i gesti di distensione da parte di Obama, le possibilità di un accordo sul dossier nucleare sembrano al punto più alto degli ultimi anni, senza però dimenticare gli ostacoli che potrebbero frapporsi sia dalle istituzioni interne all’Iran, sia dai vari gruppi contrari ad un tale accordo in Occidente.

Mentre le prospettive per un nuovo corso collaborativo sembrano aumentare, è utile tenere d’occhio la visione strategica di chi gestisce il potere militare negli Stati Uniti. Il Medio Oriente, insieme al Nord Africa e all’Asia Centrale – non a caso il famoso “arco della crisi” identificato da Bernard Lewis – rimane la zona più calda, con un susseguirsi di conflitti che hanno riflessi significativi sui rapporti di sicurezza globali. E non va dimenticato il Pivot to Asia dell’Amministrazione Obama, cioè l’aumento delle attenzioni verso l’Asia, in risposta alla forte crescita del ruolo della Cina.

Oggi però vorremmo segnalare un interessante articolo che riguarda il ruolo dell’Italia nella strategia americana, pubblicato dal Professore David Vine dell’American University di Washington, DC. Vine, un antropologo che si dichiara per la “demilitarizzazione” della società americana, descrive un quadro in cui il Pentagono sta facendo enormi investimenti in basi militari in Italia, di fatto spostando verso sud la propria capacità in Europa.

Con il titolo “The Italian Job”, l’articolo è stato pubblicato su vari siti inclusi TomDispatch, HuffingtonPost e The Guardian. Sotto alcuni dei passaggi più significativi:

“Il Pentagono ha trascorso gli ultimi due decenni investendo centinaia di milioni di dollari nelle basi militari in Italia, trasformando il paese in un centro sempre più importante per il potere militare degli Stati Uniti. In modo particolare dall’inizio della guerra globale al terrorismo nel 2001, l’esercito sta spostando il suo centro di gravità verso sud, dalla Germania dove la stragrande maggioranza delle forze americane nella regione sono state di stanza dalla fine della seconda guerra mondiale. Nel processo, il Pentagono ha trasformato la penisola italiana in un trampolino di lancio per le future guerre in Africa, nel Medio Oriente, e non solo.

Nelle basi di Napoli, Aviano, Sicilia, Pisa e Vicenza, tra le altre, le forze armate hanno speso più di 2 miliardi di dollari in costi di costruzione dalla fine della guerra fredda – e questa cifra non include altri miliardi per progetti classificati e anche tutti i costi per il personale. Mentre il numero delle truppe in Germania è sceso da 250.000 unità, da quando l’Unione Sovietica è crollata, a circa 50.000 di oggi, in Italia i circa 13.000 soldati americani (e gli oltre 16.000 famigliari) sono tanti quanti al culmine della guerra fredda. Ciò significa che la percentuale delle forze Usa in Europa con sede in Italia è triplicata dal 1991, passando dal circa il 5% a più del 15%.

[…]

In Germania rimangono più basi, e quindi più spesa militare per gli Stati Uniti che in qualsiasi altro paese straniero (salvo, fino a poco tempo fa, l’Afghanistan). Tuttavia, l’Italia è diventata sempre più importante per le strategie del Pentagono, che sta lavorando per modificare la composizione della sua collezione globale di 800 o più basi all’estero, generalmente spostando l’attenzione a sud e ad est dal centro dell’Europa. L’esperto di Basi USA Alexander Cooley spiega: “I funzionari della difesa degli Stati Uniti riconoscono che il posizionamento strategico in Italia sul Mediterraneo e vicino Nord Africa, la dottrina antiterrorismo dei militari italiani, così come la favorevole disposizione politica del paese verso le forze Usa sono fattori importanti per la decisione del Pentagono di mantenere una grande presenza di basi e truppe lì”.

[…]

Nelle dichiarazioni pubbliche, i funzionari americani dicono che non ci sono basi militari americane in Italia. Essi insistono sul fatto che i nostri presidi, con tutte le loro infrastrutture, le attrezzature, e le armi, sono semplicemente ospiti su ciò che resta ufficialmente di basi “italiane” destinate all’uso NATO. Naturalmente, tutti sanno che questo è in gran parte una finezza giuridica”.

(traduzione di Transatlantico e rischiocalcolato.it)

L’articolo è lungo e dettagliato, quindi citiamo in forma sintetica solo alcuni dei punti più salienti dopo i primi paragrafi:

– la Sicilia diventa sempre più importante nella War on Terror vista la sua prossimità all’Africa. Dalla base di Sigonella, per esempio, partono i droni grazie ad un accordo segreto del 2008 (accordo svelato da Wikileaks).

– Il posizionamento dell’Italia è importante perché permette l’accesso diretto alle acque e ai cieli internazionali, senza dover chiedere il diritto di passaggio ad altri paesi.

– Mentre la Germania continuerà ad avere un ruolo centrale per gli americani in Europa, l’Italia – tra l’altro considerata più flessibile e accondiscendente nell’accogliere le richieste degli americani – offre un piattaforma che renderà più facili eventuali nuovi interventi in Africa e in Medio Oriente.

Mentre a livello pubblico si parla di F35 e si sente qualche critica ai droni, il quadro presentato da Vine rende chiaro che l’Italia è vista come una base cruciale per i futuri interventi militari nelle aree più calde della Guerra al Terrorismo. Forse sarà possibile evitare interventi più ampi, se andranno in porto le operazioni diplomatiche rispetto alla Siria e all’Iran, che potrebbero cambiare di non poco il quadro per i prossimi anni. Questo permetterebbe anche una riduzione importante del livello di tensione tra USA e Russia.

Tuttavia non ci sono dubbi che le azioni militari – pubblicizzate o meno – continueranno, e forse aumenteranno per esempio nell’Africa. Basti considerare la recente strage in Kenia, tutt’altro che slegata dalle manovre occidentali.

In questo contesto l’Italia dovrà essere cosciente del proprio ruolo, e farebbe bene anche a riflettere sul proprio passato, dall’Iran alla Libia e oltre. L’Italia è destinata a rimanere un ponte verso il Medio Oriente e l’Africa, ma di che tipo?

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