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L’Islanda ha deciso di ritirare definitivamente la sua domanda di adesione all’Unione Europea, già congelata nel 2013 quando andarono al governo i partiti euroscettici (Partito del Progresso e Partito dell’Indipendenza). Il Paese era stato incluso nella procedura di allargamento avviata nel 2009, poi cominciarono i negoziati nel 2010 condotti dal precedente governo socialdemocratico.
L’idea originale era di entrare a far parte dell’Unione alla ricerca della stabilità, dopo i pesantissimi effetti della crisi finanziaria globale. L’Islanda infatti fu colpita duramente, portando al fallimento delle sue principali banche che avevano accumulato debiti enormi, sorretti solo da operazioni speculative – destinate appunto a crollare.
Dopo le prime misure drastiche di garantire il debito come richiesto dal FMI, la popolazione si rivoltò e infine fu deciso di non seguire il modello ‘salvataggi e austerità’ adottato dagli altri paesi occidentali. Così l’Islanda riorganizzò il sistema bancario, impose controlli sui capitali, attuò una moratoria parziale sul debito dei consumatori e evitò di far cadere tutto il costo della crisi sui cittadini.
Oggi il paese comincia a stare meglio e le regole restrittive dell’Ue non sembrano più così attraenti. Reykjavik vuole mantenere la sua indipendenza, e ha di recente siglato anche un accordo commerciale con la Cina che sembra favorire molto le sue esportazioni.
Nel frattempo l’avvicinarsi delle elezioni greche del 25 gennaio sta seminando il panico in Europa. Alex Tsipras, leader del partito Syriza che guida i sondaggi, rassicura di non voler uscire dall’Euro, ma annuncia l’intenzione di attuare un default su buona parte del debito greco, e una moratoria sul rimborso del resto. In un articolo pubblicato sui giornali internazionali il 5 gennaio Tsipras sostiene che si potrà ripagare una parte del debito solo quando il paese avrà cominciato a crescere almeno del 3%.
E’ ovvio che un tale piano rappresenterebbe una rottura secca con il Patto di Stabilità, il Fiscal Compact e tutte le altre regole europee. Rischierebbe di dare inizio ad uno scenario in cui ogni paese in difficoltà decide di invocare la propria sovranità – utilizzando l’arma del debito – per ottenere una deroga ai trattati. Non a caso la stampa tedesca ha ventilato la possibilità di un’uscita della Grecia dall’Euro.
Se e quando Tsipras diventerà capo del governo dovrà decidere se andare fino in fondo con il piano annunciato, oppure piegarsi alle inevitabili pressioni delle istituzioni sovranazionali e dei mercati finanziari. L’Ue non può permettersi di ammettere il fallimento della propria politica; cercherà di parlare di situazioni speciali e di deroghe temporanee. La questione è se il vero salvataggio della Grecia – l’abbandono della politica di austerità – diventerà l’occasione per un ripensamento dei metodi seguiti negli ultimi anni.
January 9, 2015
Economia, Notizie, Politica