– di Paolo Balmas –
Il 2022 è (stato) un anno orribile per vari motivi: la guerra in Ucraina, l’inflazione che sta colpendo le fasce più deboli della popolazione europea come in Gran Bretagna, le politiche di controllo del zero Covid in Cina e soprattutto per lo spettro di una crisi economica che colpirà a fondo alcuni settori e alcune regioni nei prossimi mesi. L’attenzione dei media internazionali si focalizza su avvenimenti che possono avere un peso nelle prossime settimane in questioni delicate di politica interna ed estaera delle potenze mondiali. Si discute dell’incontro fra i presidenti ucraino e americano e dell’assegno in bianco di Washington a Kiev. Si insiste sul ruolo di Trump nell’assalto a Capitol Hill del gennaio 2020. Ci si preoccupa del cambio di rotta cinese riguardo alle politiche per debellare il coronavirus. In ognuno di questi punti si avverte crescente la sindrome del nemico, o meglio dei nemici dell’establishment nord’atlantico: Mosca (o Putin), Trump, Pechino (o Xi). Come abbiamo spesso ripetuto, l’accanimento mediatico rischia sempre di far perdere la percezione di cose più essenziali.
Per comprendere meglio le dinamiche relative al processo sui fatti di Washington del gennaio 2020 e alle politiche interne Usa, si rimanda al podcast House of Spannaus (su Spreaker). Anche gli altri punti sono stati trattati su Transatlantico nelle settimane passate. Qui si vuole far riflettere sul fatto che sullo sfondo di ognuno di questi punti vi sono delle dinamiche comuni che possono essere ricondotte a due questioni fondamentali: la prima è il cambio di rotta nel processo di globalizzazione cominciato nel 2016 con la Brexit e nel 2017 con l’inizio della presidenza Trump. La seconda riguarda l’avvicinarsi a un nuovo giro di giostra del cosidetto ‘boom-bust cicle’, ovvero l’esplosione di una nuova crisi economica, il cui ripetersi ciclico è stato reso più veloce dal processo di finanziarizzazione dell’economia.
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December 26, 2022
Economia, Strategia