Quanto è stato scritto dai grandi giornali americani in merito alle informazioni fornite alle forze armate ucraine per aiutarli ad affondare la nave russa Moskva e ad uccidere i generali russi al fronte hanno fatto andare su tutte le furie il presidente americano Joe Biden, secondo varie fonti. Il motivo è questo: dall’inizio di questa crisi, ancora prima dello scoppio della guerra a fine febbraio, il presidente americano sottolinea spesso che gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di entrare direttamente in guerra con la Russia. Questa posizione – nonostante il linguaggio duro utilizzato da Biden in merito al presidente russo Putin – viene confermata da altre mosse dietro le quinte: l’alleggerimento della presenza di truppe Nato ai confini con la Russia all’inizio del conflitto, i tentativi di stabilire comunicazioni costanti tra i vertici militari delle due superpotenze, le rassicurazioni che non si intende aiutare gli ucraini a condurre attacchi contro il territorio russo.
Ora, forse grazie a chi spinge per oltrepassare questa linea stabilita dalla Casa Bianca, è stato annunciato pubblicamente che gli Stati Uniti non solo forniscono armi e altri aiuti a Kiev, ma che sono coinvolti direttamente nella pianificazione delle operazioni militari. Non è una distinzione secondaria, in quanto il diritto internazionale – seppur complesso e dibattuto – considera in modo diverso la semplice fornitura di aiuti dalle operazioni attive e coordinate a sostegno delle forze armate di un paese parte del conflitto. A questo punto è difficile negare questo tipo di attività da parte di Washington.
Infatti l’esperto costituzionalista ed ex vice ministro della giustizia nell’amministrazione Reagan Bruce Fein, ha affermato che “gli Stati Uniti e alcuni membri della Nato sono diventati co-belligeranti con l’Ucraina contro la Russia…” Alcuni rispondono che si tratta di una posizione comunque legittima, in quanto si sta aiutando un paese a difendersi contro l’aggressione. A prescindere da chi ha iniziato le ostilità, però, su cui non c’è alcuna ambiguità a Washington, c’è una forte volontà di non essere visti come parte attiva nella guerra. Si afferma la necessità di respingere l’invasione, ma si teme che un Putin messo alle strette potrebbe diventare disperato e considerare perfino la possibilità di utilizzare le armi nucleari tattiche. A livello ufficiale si minimizza, ma quando si parla di evitare il rischio di una guerra mondiale il riferimento è chiaro.
Quanto è stato scritto dai grandi giornali americani in merito alle informazioni fornite alle forze armate ucraine per aiutarli ad affondare la nave russa Moskva e ad uccidere i generali russi al fronte hanno fatto andare su tutte le furie il presidente americano Joe Biden, secondo varie fonti. Il motivo è questo: dall’inizio di questa crisi, ancora prima dello scoppio della guerra a fine febbraio, il presidente americano sottolinea spesso che gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di entrare direttamente in guerra con la Russia. Questa posizione – nonostante il linguaggio duro utilizzato da Biden in merito al presidente russo Putin – viene confermata da altre mosse dietro le quinte: l’alleggerimento della presenza di truppe Nato ai confini con la Russia all’inizio del conflitto, i tentativi di stabilire comunicazioni costanti tra i vertici militari delle due superpotenze, le rassicurazioni che non si intende aiutare gli ucraini a condurre attacchi contro il territorio russo.
Ora, forse grazie a chi spinge per oltrepassare questa linea stabilita dalla Casa Bianca, è stato annunciato pubblicamente che gli Stati Uniti non solo forniscono armi e altri aiuti a Kiev, ma che sono coinvolti direttamente nella pianificazione delle operazioni militari. Non è una distinzione secondaria, in quanto il diritto internazionale – seppur complesso e dibattuto – considera in modo diverso la semplice fornitura di aiuti dalle operazioni attive e coordinate a sostegno delle forze armate di un paese parte del conflitto. A questo punto è difficile negare questo tipo di attività da parte di Washington.
Infatti l’esperto costituzionalista ed ex vice ministro della giustizia nell’amministrazione Reagan Bruce Fein, ha affermato che “gli Stati Uniti e alcuni membri della Nato sono diventati co-belligeranti con l’Ucraina contro la Russia…” Alcuni rispondono che si tratta di una posizione comunque legittima, in quanto si sta aiutando un paese a difendersi contro l’aggressione. A prescindere da chi ha iniziato le ostilità, però, su cui non c’è alcuna ambiguità a Washington, c’è una forte volontà di non essere visti come parte attiva nella guerra. Si afferma la necessità di respingere l’invasione, ma si teme che un Putin messo alle strette potrebbe diventare disperato e considerare perfino la possibilità di utilizzare le armi nucleari tattiche. A livello ufficiale si minimizza, ma quando si parla di evitare il rischio di una guerra mondiale il riferimento è chiaro.
Nell’analisi di come potrebbe reagire Putin comincia ad entrare anche la questione dello stato di salute del presidente russo. Sottovoce si discute se Putin potrebbe avere il Parkinson’s, effetti collaterali del Covid oppure di farmaci antitumorali. La faccia di Putin è apparsa un po’ gonfia nelle apparizioni recenti, il che potrebbe indicare l’utilizzo di medicinali pesanti. In questo contesto si ragiona sul sistema di potere interno alla Russia, in cui Putin avrebbe più fiducia nelle strutture dell’intelligence che nei propri generali, avendo deciso di decentralizzare il potere militare negli anni per evitare la possibilità di sminuire il ruolo del presidente. Insomma, a Washington non manca chi specula sul futuro politico di Putin, con minacce che provengono da più parti.
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May 13, 2022
Notizie, Strategia