L’attacco russo all’Ucraina va ben oltre quanto ci si aspettava nell’Europa occidentale, dove negli anni era cresciuta l’immagine di Putin più come un presidente scaltro e razionale che un dittatore pericoloso intento a ricostruire l’impero russo come spesso presentato dalle istituzioni americane. Gli annunci della Casa Bianca di un attacco imminente sono stati visti con un po’ di scetticismo anche negli Stati Uniti, ma nonostante qualche partenza falsa, alla fine l’amministrazione Biden ha dimostrato di avere informazioni piuttosto precise captate attraverso l’intelligence, senza però raggiungere l’obiettivo dichiarato di dissuadere Putin dall’attaccare.
Ora il contesto strategico cambia in modo significativo. Una cosa è mobilitare le truppe per mettere pressioni e trattare, ed eventualmente fornire più assistenza ai separatisti, tra l’altro su invito/richiesta loro; altro è invadere e puntare al controllo delle principali città del resto del paese, con o senza l’intenzione di rimanerci a lungo. A questo punto si apre una nuova fase di scontro e divisione in Europa, e le attenzioni della Nato – che in linea generale si stanno spostando verso l’Asia – torneranno a crescere anche verso l’Europa orientale, proprio il contrario di quanto voleva Mosca.
Pur condannando – e anche considerando come un errore – la decisione di Putin di trasformare le minacce in azioni belliche a tutti gli effetti, con i drammatici costi in termini di vite umane e distruzione di infrastrutture fisiche, occorre comunque chiedersi come siamo arrivati a questo punto; com’è successo che la Russia ha deciso di compiere un atto così dirompente, di rottura con il sistema del diritto internazionale come viene visto nel mondo occidentale, infischiandosi delle pesanti conseguenze minacciate in termini di sanzioni economiche, e anche dell’inizio di un nuovo, forse lungo periodo di divisioni pesanti e costose.
Cominciamo con la strategia messa in atto dall’amministrazione Biden nelle ultime settimane, quella della guerra psicologica di cui abbiamo scritto più volte. Quando il presidente russo ha deciso l’anno scorso di mostrare i muscoli con l’obiettivo di sfruttare il momento di dialogo con la sua controparte americana per raggiungere una sorta di accordo quadro sulla sicurezza nell’Europa orientale, la risposta delle istituzioni statunitensi non è stata quella aspettata: dopo qualche contatto iniziale con Biden in cui quest’ultimo ha mostrato solo delle aperture molto limitate in merito alle richieste del Cremlino, si è presto passati ad una nuova fase, quella di denunciare i piani della Russia identificati dall’intelligence Usa, cercando di mettere i russi in imbarazzo e sfidandoli a mostrare le proprie carte.
I russi hanno negato, e il presidente ucraino ha chiesto più volte di moderare il linguaggio, ma da gennaio gli americani hanno cominciato a parlare di un attacco imminente. L’idea doveva essere di dissuadere i russi, ma evidentemente non ha funzionato. Quindi mentre l’intelligence è stata precisa, la strategia ha fallito. Perché?
Si potrebbe dire che in realtà Putin aveva deciso di invadere già dall’inizio. Ma se vogliamo riconoscere che le previsioni di Biden erano essenzialmente giuste, non si può farlo in modo selettivo: il presidente americano ha ripetuto più volte fino a metà febbraio che Putin non aveva ancora deciso se procedere militarmente. Dunque cosa gli ha fatto decidere?
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March 2, 2022
Strategia