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Sono arrivate le prime conseguenze pratiche del momento difficile per il partito del presidente Joe Biden: in uno stato dove il candidato democratico aveva vinto di 10 punti un anno fa nella sfida contro Donald Trump, i repubblicani hanno vinto tutte le tre cariche principali, governatore compreso, e sono riusciti anche ad arrivare alla parità nel Consiglio Regionale, precedentemente controllato dai democratici.
Nella sfida principale ha vinto il repubblicano Glenn Youngkin, ex-manager di società come McKinsey e Carlyle, che è riuscito ad interpretare molto bene il momento della popolazione della Virginia. Presentandosi come una persona pragmatica, fuori dalla politica ma anche con uno stile pacato, ha potuto marcare un contrasto con il democratico Terry McAuliffe, già governatore dal 2014 al 2018, che ha recitato la parte del politico di professione, molto concentrato sul messaggio scelto con i consulenti, e fissato sui temi nazionali. Lo scarto finale tra i due candidati è stato del 2,5%, vicino alle previsioni dei sondaggi che avevano carpito la tendenza in atto, con una previsione finale di 1,7% a favore di Youngkin.
E’ molto comune che il partito che ha perso le elezioni presidenziali l’anno prima poi vinca il governatorato della Virginia, ma questa sconfitta dimostra che lo stato rimane ancora contestato tra i due partiti, smentendo l’impressione che i democratici avessero ormai consolidato il controllo sulla Virginia negli ultimi anni.
La perdita della Virginia – insieme alla vittoria di strettissima misura nel New Jersey, stato ancora più democratico da molti anni – conferma le paure del partito per le elezioni di medio termine del 2022, in cui ormai sembra quasi sicuro che i democratici perderanno il controllo della Camera dei Deputati, e in cui rischieranno anche il vantaggio al Senato. Dunque per Joe Biden diventa ancora più importante riuscire a portare a casa dei risultati importanti adesso, in quanto diventerà impossibile ottenere vittorie al Congresso durante la seconda metà del suo mandato. In questi giorni si va verso la conclusione del lungo processo di dibattito interno sui pacchetti legislativi per le infrastrutture fisiche e quelle sociali, che sono state già ridimensionate parecchio a causa delle obiezioni dei centristi.
In termini politici, la sconfitta di McAuliffe riporta al centro la questione dell’identità del partito democratico e la battaglia per vincere il sostegno della classe media. Il candidato democratico ha focalizzato tutte le sue energie sul tentativo di legare il repubblicano a Donald Trump, che lo aveva sostenuto. Ma Youngkin ha capito presto che abbracciare apertamente l’ex presidente sarebbe stata una strategia perdente, quindi ha moderato i toni e si è concentrato su un tema che interessa molto alle famiglie dei sobborghi, dove si contendono i voti degli indecisi: la crescente influenza del politically correct nell’istruzione. La tendenza ad imporre una visione “illuminata” dei problemi razziali, rileggendo in negativo quasi ogni aspetto della storia del paese, viene identificata con la “critical race theory”, corrente di pensiero che dal mondo accademico ora penetra molte aree della società. Insieme alla militanza sulle questioni LGBT – per esempio insistendo sulla libertà per gli studenti trans di usare il bagno che vogliono, o l’obbligo di riconoscere un cambio di genere anche per i ragazzini delle elementari – la promozione di queste teorie fa paura a molti genitori, che pur respingendo le discriminazioni, temono un tentativo “radicale” di rimodellare gli atteggiamenti sociali.
Quindi diventa urgente per i democratici fare i conti con un problema che li affligge da anni: mentre buona parte del paese concorda con gli obiettivi progressisti in economia, a livello culturale i repubblicani riescono a trovare argomenti con largo sostegno tra la popolazione, e li sanno sfruttare molto bene a livello elettorale.
Newsletter Transatlantico N. 34-2021
November 9, 2021
Notizie, Politica