(free) – di Paolo Balmas –
A poche settimane dall’inizio della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP26), che quest’anno si terrà a Glasgow a partire dal 31 ottobre al 12 novembre, i mercati dell’energia sembrano impazziti. Dopo anni di stress nel mercato del petrolio, con prezzi negativi che hanno raggiunto i 37 dollari, il prezzo al barile è saltato a 80 dollari. Il costo delle utenze del gas aumenta velocemente e i mercati ritornano al carbone, il quale per molti era ormai tabù per ragioni riguardanti l’inquinamento e il cambio climatico. Ritornano alla mente le parole dell’ex presidente Trump, quando asserì che il suolo americano era pieno di carbone che attendeva di essere estratto. A quanto pare, questa è la direzione che si sta prendendo, o sulla quale si sta tornando, in questi giorni.
Le ragioni, secondo molti analisti, sono da attribuire a una serie di fattori intrecciati. Prima di tutto il freddo (in un mondo che si sta surriscaldando). L’anno scorso l’inverno è stato particolarmente rigido a livello mondiale e quest’anno si attende lo stesso. Inoltre, il mercato dell’energia in generale è stato poco preso in considerazione dagli investitori, o almeno non quanto avrebbe dovuto. In altre parole, il settore energetico sta subendo le ripercussioni dell’andamento dei mercati finanziari a livello globale. Infine, un po’ di colpa è da attribuire alle rinnovabili. Molta attenzione è stata rivolta a questo settore specifico dell’energia, senza però ottenere risultati concreti in poco tempo. Ciò dimostrerebbe che il mondo non è pronto a una transizione energetica green.
Questa è la narrazione che si sta diffondendo alla vigilia della COP26 e presagisce un cambio di rotta, almeno parziale, rispetto alla famosa edizione della COP21 di Parigi, quando le grandi nazioni del pianeta si accordarono per ridurre il consumo di carbone, gas e petrolio. La Cina, prima fra tutte, aveva promesso di raggiungere l’obiettivo di zero emissioni in circa trenta anni. Tuttavia, in Cina come in altri paesi, tale obiettivo sembra oggi più difficile da realizzare. Malgrado il rallentamento dell’economia a causa del Covid-19, i consumi e i prezzi energetici aumentano, così come gli investimenti nel settore del carbone. La produzione energetica mondiale si fonda ancora per più del 80% su carbone, petrolio e gas. Tale dipendenza sembrava stesse diminuendo almeno in Cina, ma recenti analisi confermerebbero un cambiamento di rotta.
In Cina, gli investimenti nelle rinnovabili sono stati incentivati in modo crescente negli ultimi quindici anni, fino ad arrivare a un picco di oltre 160 miliardi di dollari nel 2017. Di conseguenza, le emissioni si sono ridotte considerevolmente fra il 2010 e il 2020. Tuttavia, gli investimenti nella produzione di energia ‘green’ sono scesi drasticamente a partire dal 2018, più o meno in concomitanza con la guerra economica scatenata dall’Amministrazione Trump. A spiegare tale cambiamento non vi sono solo le necessità energetiche, ma anche variazioni nelle politiche monetarie cinesi. Proprio in questi ultimi anni, a partire dal 2017, in Cina è stato cambiato l’approccio agli investimenti green.
Il cambiamento si traduce in un tentativo di basare sul mercato ciò che era sotto controllo dello stato. In altre parole, gli investimenti per l’energia green erano effettuati dalle banche commerciale sulla base di indicazioni del governo e della banca centrale. Si tratta di un meccanismo noto con il nome di “window guidance”, ampiamente utilizzato in Giappone e Corea nei primi decenni del Dopoguerra. In sostanza, lo stato mette dei paletti alle banche per incentivare la crescita del credito in determinati settori. Inoltre, in Cina lo stato imponeva il veto di fornire credito a imprese che non seguivano precisi standard energetici, cioè disincentivava gli investimenti in industrie che producevano troppo inquinamento.
A quanto pare, almeno per il momento, il passaggio da controllo di stato a una forma di mercato più libera per aumentare gli investimenti nei settori strategici per il cambiamento climatico, non sta funzionando. Forse si tratta anche di tempismo. In ogni caso, le previsioni per il futuro non sono molto positive, tanto in Cina quanto nel resto del mondo. L’obiettivo di zero emissioni per il 2050 è stato fortemente ridimensionato da un rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia. Pare che per il 2050 si potrà solo ridurre del 40% la produzione attuale di emissioni. I rappresentanti di Russia, Usa e Cina sembrano tutti concordare sul fatto che bisogna essere pragmatici, soprattutto perché la popolazione mondiale in trenta anni crescerà di quasi due miliardi e mezzo di individui. Per la questione immediata dei prezzi del petrolio e del gas si attende, invece, ancora una volta la riunione dell’Opec+, che proporrà probabilmente di aumentare di nuovo la produzione di idrocarburi.
– Newsletter Transatlantico N. 33-2021
October 18, 2021
Economia