(free) – di Paolo Balmas –
Lo scorso settembre la marina militare indiana ha espulso dalle sue acque una nave da ricerca cinese, la Shiyan 1, perché operava nel Mare di Andaman senza permesso. Il fatto è stato confermato di recente dal capo della marina indiana, l’ammiraglio Karambir Singh. Negli ultimi anni le attività di ricerca e militari cinesi in quelle acque, che segnano il confine fra l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico a ridosso dello Stretto di Malacca, sono aumentate destando le preoccupazioni di Nuova Delhi. Il vascello cinese si trovava a largo delle isole di Nicobar, che occupano una posizione strategica per il controllo dell’intero mare. La marina indiana ha rivelato che, sin dal 2012, la Cina svolge regolarmente esercitazioni nel Mare di Andaman con i suoi sottomarini.
La crescente presenza militare cinese nei mari è simultanea all’espansione economica e alla veloce evoluzione dei progetti infrastrutturali della Cintura economica, che nell’Oceano Indiano orientale costituiscono uno snodo nevralgico della dimensione marittima della grande iniziativa cinese. Attualmente, è in costruzione il corridoio economico fra la Cina e il Myanmar. Dalle coste sull’Oceano Indiano entreranno merci e materie prime destinate al mercato cinese. Sarà un’arteria critica per l’approvvigionamento di energia. Inoltre, c’è il progetto per il Canale di Kra al fine di tagliare l’istmo della penisola malese e unire il Golfo di Tailandia all’Oceano Indiano. Un progetto che diminuisce i tempi di trasporto fra le coste cinesi e il Mar Mediterraneo e che potrebbe cambiare gli equilibri della regione.
Il crescente confronto fra Cina e India nell’area a cavallo fra i due oceani è parte di una disputa più ampia e complessa. Bisogna prima di tutto considerare che la Cina sta sviluppando il corridoio economico cino-pachistano sulla sponda opposta del sub-continente indiano, che risulterà con un aumento del peso geopolitico del Pakistan, principale rivale di Nuova Delhi. Inoltre, nelle acque indiane si snoda parte della catena di basi militari britanniche. Malgrado le prospettive della Brexit, Londra e Parigi hanno riconfermato di recente la cooperazione strategica per l’utilizzo reciproco delle proprie basi navali intorno al mondo. Un sistema militare che consente la presenza franco-britannica nei punti più delicati del commercio internazionale.
Anche il Giappone mostra sempre maggiori interessi a riportare la propria marina militare fra l’Oceano Indiano e il Pacifico. Una capacità che Tokyo ha notevolmente aumentato da pochi anni con la riforma delle forze armate e dei servizi di intelligence. In ogni caso, la presenza più massiccia è quella degli Stati Uniti che, tuttavia, negli ultimi tempi, hanno concentrato l’attenzione in acque più vicine alla Cina, nel Mar cinese meridionale e intorno a Taiwan. Solo negli ultimi giorni, con l’annuncio di una nuova fase di trattative commerciali fra Washington e Pechino, il Pentagono ha deciso insieme alla marina cinese di limitare il confronto in acque cinesi.
L’aumento dei traffici marittimi e la nascita di nuove arterie commerciali, specialmente per il passaggio di fonti energetiche, non potrà che fare aumentare gli attriti fra le potenze emergenti della regione. Cina, India e Giappone stanno lentamente avviandosi verso un confronto per la presenza militare negli oceani che si manifesterà, fra l’altro, con un ulteriore aumento delle spese per la difesa e di esercitazioni navali. Tokyo è particolarmente interessata a far funzionare i rapporti con Nuova Delhi, ma le questioni politiche interne indiane, in questi giorni, sono diventate un ostacolo. Il primo ministro giapponese, Abe Shinzo, ha cancellato la sua visita in India a causa delle proteste violente scoppiate nel sub-continente in seguito alla nuova legge sulla cittadinanza voluta da Narendra Modi.
– Newsletter Transatlantico N. 35-2019
December 24, 2019
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