(free) – di Paolo Balmas –
Dopo che il leader della Corea del Nord ha minacciato di colpire la base militare statunitense di Guam, nell’Oceano Pacifico, la tensione che caratterizza la vita politica della penisola coreana è ulteriormente aumentata. Le dichiarazioni del capo di Stato Maggiore di Washington, Joseph Dunford, durante una visita a Pechino la scorsa settimana, non hanno di certo aiutato la distensione. Il Generale americano, infatti, ha rivelato che il presidente Donald Trump gli ha chiesto ufficialmente di presentare dei rapporti credibili sulla possibilità di intervenire militarmente sul suolo coreano. Il Pentagono, attualmente, sta lavorando alla presentazione di tali rapporti.
Lo stratega di Trump, Steve Bannon, licenziato di recente per aver mal gestito i fatti di Charlottesville, aveva un atteggiamento sulla crisi coreana piuttosto diverso da quello che sta prendendo corpo negli ultimi giorni presso la nuova amministrazione Trump. Come riportato da Associated Press, Bannon aveva dichiarato che non vi è soluzione militare alla questione coreana e che sarebbe convincente solo un’azione che garantisca a Seoul di non perdere milioni di vite umane sotto i bombardamenti nordcoreani nei primi trenta minuti di guerra (Seoul è a pochi chilometri dal confine, a tiro dell’artiglieria del Nord). Probabilmente Bannon aveva altre idee in mente e riteneva le armi convenzionali la reale minaccia. Dunford, da parte sua, crede che un conflitto in Corea sia qualcosa di orribile, ma ritiene peggiore l’eventualità di una Pyongyang capace di colpire il suolo americano con armi nucleari. Tuttavia, secondo molti osservatori, Pyongyang non sarebbe ancora in grado di sferrare un attacco nucleare perché, anche se gli esperimenti balistici sono andati a buon fine, non possiede ancora la capacità di miniaturizzare le testate per inserirle nei missili.
Intanto, il presidente sudcoreano, Moon Jae In, ha mostrato la volontà di riaprire il dialogo con il Nord, ma sempre e solo se il governo di Pyongyang blocca le attività militari. La linea di Seoul ricalca quella degli USA e del Giappone, che attendono una cessazione definitiva degli esperimenti nucleari e missilistici da parte della Corea del Nord. A sua volta, questa vorrebbe imporre la fine delle esercitazioni congiunte delle forze armate di Washington, di Tokyo e di Seoul che si svolgono nei pressi della penisola coreana. Un braccio di ferro che il Nord non può di certo vincere e che rischia di portare lentamente alla catastrofe.
Una posizione diversa è offerta da Pechino e da Mosca che, pur riconoscendo le sanzioni dell’Onu, chiedono una distensione parallela con eguale impegno da entrambe le parti. La Cina e la Russia sono preoccupate anche per l’accumularsi di sistemi d’arma nella regione e della realizzazione degli scudi antimissilistici in Corea del Sud e in Giappone. Questi, infatti, sono pensati per una strategia a lungo termine che va ben oltre la minaccia nordcoreana. Così, mentre il governo cinese ha chiesto di sospendere il programma di esercitazione fra USA e Corea del Sud, il Giappone chiede una maggiore cooperazione con le forze statunitensi.
La Corea del Nord è sempre più isolata e le grandi potenze si contendono il controllo dell’area geografica che ora costituisce un’isola non sfruttabile al centro di una delle regioni economicamente più attive a livello mondiale. L’apertura del Nord è fondamentale per lo sviluppo economico dell’intera penisola coreana, ma anche della regione estremorientale russa, che potrebbe intensificare le proprie attività commerciali di transito fra Estremo Oriente ed Europa. Grazie a un prolungamento delle ferrovie, attraverso tutto il Nord fino al porto meridionale di Pusan, anche la Cina, il Giappone e la Corea del Sud trarrebbero un importante beneficio per lo sviluppo del traffico commerciale, direttamente legato all’evolversi del progetto eurasiatico del One Belt, One Road.
– Newsletter Transatlantico N. 36-2017
August 21, 2017
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