Sono molti anni che aleggia lo spettro di un attacco militare all’Iran. In modo particolare, da quando nel 2002 George W. Bush incluse la Repubblica islamica nel suo famoso “asse del male†si è vissuta una campagna continua di pressioni da parte di chi vorrebbe portare avanti il progetto neo-con di ripulire il Medio Oriente dai regimi anti-occidentali. In questo contesto la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad ha fornito non pochi argomenti ai falchi, cristallizzando una situazione di scontro che più volte è andata vicina all’intervento militare. La fazione pro-guerra negli USA ha trovato in Benjamin Netanyahu l’alleato ideale, pronto non solo a insistere con la Casa Bianca, ma anche a lanciare un attacco da solo per forzare la mano all’alleato americano.
Durante la campagna elettorale del 2008 Barack Obama ha fatto scalpore dicendosi pronto a trattare con chiunque senza precondizioni, indicando una linea di apertura diplomatica che i suoi avversari volevano ridicolizzare; ma Obama aveva capito per primo dove spirava il vento nell’elettorato dopo anni di guerra al terrorismo, e riuscì a fare della sua immagine di colomba un vantaggio decisivo.
Nel 2009, la nuova Amministrazione tentò delle strade per fare progressi con l’Iran sulla questione nucleare, ma come documentato in dettaglio nel libro di Trita Parsi A Single Roll of the Dice, diversi fattori sia interni che esterni contribuirono ad affossare questo primo tentativo, rafforzando la linea – anche dentro l’Amministrazione – di chi sosteneva che fosse inutile cercare il dialogo, l’Iran avrebbe capito solo le sanzioni e le minacce.
Questa settimana, grazie ad una fortuita convergenza di eventi, si apre una finestra di opportunità importante nel percorso che potrebbe portare ad un accordo tra l’Iran e l’Occidente. […]
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September 23, 2013
Strategia