(free) – di Andrew Spannaus –
La pubblicazione di un lungo articolo di Seymour Hersh sul raid in cui è stato ucciso Osama Bin Laden nel maggio 2011 sta provocando una piccola tempesta mediatica in questi giorni. Da tempo Hersh, giornalista pluripremiato diventato famoso per il suo lavoro durante la guerra in Vietnam, tenta di svelare gli eventi dietro le quinte della politica militare e internazionale americana. Nel suo nuovo articolo afferma essenzialmente che la storia di com’è stato ucciso Osama bin Laden è falsa; la realtà sarebbe che l’ex capo di Al Qaeda era già in mano all’intelligence pakistana (ISI) e che il raid per eliminarlo non era affatto ad alto rischio, in quanto coordinato con i pakistani. Si tratterebbe in fondo di una serie di bugie ufficiali, mal coordinate e che miravano a mascherare i veri rapporti tra gli attori in gioco.
“The Killing of Osama bin Laden” è stato pubblicato sul sito del London Review of Books, testata scelta da Hersh negli ultimi anni per le sue inchieste, dopo alcune differenze con la rivista New Yorker. Secondo l’autore il LRB offre una piattaforma libera da condizionamenti, cioè dove si può essere oggettivi senza preoccuparsi degli effetti politici verso il Governo Usa.
Il resoconto di Hersh si basa su fonti anonime nel mondo dell’intelligence, sia americano che pakistano, e dunque è difficile trovare conferme ufficiali delle sue affermazioni. Per ora i media si sono essenzialmente concentrati sui modi di smentirle, nonostante alcune parti della storia siano state sostenute anche da testate come la NBC e l’AFP. Tra i media principali nessuno per ora sembra appoggiare la tesi principale, che si tratta di una grande messinscena, guidata dal Presidente stesso che ha utilizzato l’uccisione di bin Laden per motivi politici. Il successo contro il leader di Al Qaeda è stato sfruttato fortemente durante la campagna elettore del 2012.
Ignorare o respingere tout court le accuse di Hersh sarebbe un errore. Negli anni si è dimostrato capace di raccontare la realtà non detta a livello ufficiale. Inoltre in questo caso non si tratta di accuse particolarmente sorprendenti: che le operazioni di intelligence vengano presentate al pubblico in modo “confezionato” per tutelare certi interessi politici e di stato è abbastanza assodato nella storia recente e non.
E’ interessante invece considerare alcuni dei punti sollevati da Hersh che contrastano con la linea ufficiale, perché gettano luce su dinamiche importanti da conoscere per capire la geopolitica mondiale. Si parla molto per esempio di come funziona il mondo militare e d’intelligence pakistano. Nonostante i litigi pubblici i rapporti con gli Stati Uniti sono molto stretti, sugli attacchi con i droni e le operazioni coperte. E diventa evidente come i pakistani sfruttano elementi dei talebani e di Al Qaeda nel tentativo di garantire i propri interessi, sia rispetto al fondamentalismo più pericoloso, che in un potenziale scontro con l’India nella regione del Kashmir. L’ampiezza di questa attività ha sorpreso anche gli americani, che all’inizio non capivano perché bin Laden fosse in un posto facile da monitorare come Abbottabad (molto vicino ad un centro ISI per le operazioni coperte).
Un secondo punto riguarda l’Arabia Saudita, che secondo Hersh finanziava la permanenza di bin Laden in Pakistan. I sauditi sarebbero stati molto attenti ai non svelare il proprio coinvolgimento, temendo di dover ammettere il loro ruolo nel finanziamento di Al Qaeda più in generale. Per questo si sarebbe organizzata un’altra messinscena per far sapere agli americani che bin Laden era in Pakistan: un ex ufficiale dell’intelligence pakistano andò all’ambasciata Usa per offrire informazioni alla Cia sul terrorista, infine svelando la sua ubicazione.
Questi elementi e molti altri nell’articolo di Hersh costituiscono aspetti utili da approfondire sia per i media che per il mondo politico, che spesso seguono una versione semplificata degli eventi che non riflette la realtà di come vengono gestiti i rapporti internazionali.
May 15, 2015
Politica, Strategia